L'autore si avventura ad indagare i dettagli relativi a tre gravi fatti criminosi, che potrebbero portare gli inquirenti su nuove piste, per assicurare alla giustizia i colpevoli. La prima indagine approfondisce la metodologia di innesco dell'esplosivo utilizzato nella strage di Capaci. Non il telecomando azionato in leggero ritardo dal mafioso Brusca, ma un sofisticato e minuscolo congegno di "radiocomando trasmittente" piazzato su una o su tutte le auto di scorta. L'autore dettaglia una sua personale analisi della tempistica dell'attentato, pianificato da elementi esterni alla mafia, per avere la certezza assoluta di eliminare il giudice Giovanni Falcone e nel contempo per predisporre gli elementi da far scoprire agli inquirenti un capro espiatorio. La seconda indagine riguarda l'omicidio nel 1985 di un ex partigiano pordenonese, che gli inquirenti di allora reputarono causato da un cacciatore di frodo. L'autore scopre invece nuovi elementi, che inducono a scavare la pista dell'estremismo romano di sinistra. La terza indagine, riguarda gli indizi che hanno fatto ritenere all'autore di poter identificare l'Unabomber friulano, verosimilmente pordenonese. Purtuttavia persino cinque indizi non fanno una prova, ma dimostrano il fallimento dell'indagine. Il mistero di chi sia o di chi fosse Unabomber resta insoluto.
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