Nel diritto penale le proiezioni della dignità sono potenzialmente innumerevoli. Una macro categoria priva di una reale consistenza, ontologicamente ineffabile, intrisa di componenti emozionali. La sua stessa essenza, in perenne equilibrio tra il difetto di genericità e il pregio della potenza contenutistica, la rende un argomento universale, inoppugnabile, tale da far sembrare una banalizzazione linguistica ed epistemologica ogni sforzo definitorio. A fronte di un'insuperabile forza normativa attiva di tipo promozionale, evocativa o propulsiva, si accompagna una debole capacità di fungere da parametro di validità sostanziale delle norme, perché sacrificata sull'altare dell'intangibilità del principio stesso. Indagare sul concetto di dignità significa cercare di stabilire se rispetto alla tutela penale della vita, essa abbia o meno una reale funzione critica o una mera valenza didascalica. La dignità è un bene giuridico penalmente rilevante o ne copre la mancanza? La confusione tra la nozione assiologica di bene e quella di ratio induce ad un'espansione ermeneutica delle fattispecie e trasforma il bene giuridico in un mero strumento classificatorio.
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