Questo lavoro, dopo una rapida presentazione biografica del traduttore e una sintesi sulle caratteristiche della lingua albanese, analizza la traduzione gjeçiana nel suo complesso, individuandone alcune caratteristiche fondamentali: la minuziosa ricerca della fedeltà filologica, l'elasticità creativa che permette al traduttore di mantenere non solo la rima incatenata di endecasillabi, ma anche, nel limite del possibile, allitterazioni e onomatopee che rievocano le sonorità sorprendenti della Divina Commedia. Addirittura, in certi passaggi, Gjeçi si rivela vero e proprio poeta, con figure retoriche di sua invenzione, che non travisano minimamente lo scritto dantesco. L'analisi sonda nello specifico sei canti, (Inferno I e X, Purgatorio I e V, Paradiso I e XV), che mostrano nel dettaglio il lavoro di scavo e di cesellamento dell'autore albanese. La comparazione del testo di Dante, partendo dalla lettura critica di Anna Maria Chiavacci, con la traduzione gjeçiana, ha rivelato l'altogrado di preparazione filologica e di intuizione interpretativa del traduttore albanese, costretto a compiere il suo lavoro in condizioni di semi clandestinità, con l'ausilio di pochi apparati critici.