Il testo propone un percorso analitico su un aspetto saliente de La Bucanera di Alejandra Pizarnik. Sulla base di uno studio poco indagato, inscritto all'interno delle proposte del neobarocco sardo, si propone un'indagine sui limiti e sui confini della parola, sulla rottura della logica della causalità, sugli usi della parodia e su altri effetti associati alla carnevalizzazione, come operazioni discorsive che Pizarnik mette in atto attraverso un discorso che si configura come un gioco di strutture multiple. Non c'è quindi un filo conduttore riconoscibile in cui si possa leggere una storia, ma piuttosto soggetti diversi e paradossali che si perdono in una narrazione disarticolata e spezzata. Una voce poetica emerge negli iati, in un denso furore erotico che viene trafitto da una ferita vitale; non è forse questa voce che parla senza canoni, che emerge senza limiti in un discorso che muta verso l'infinito, il cui senso è il gioco architettato dall'intreccio di diversi strati linguistici? Una parola viva, un luogo dove diverse superfici testuali si incontrano per formare un'immagine plastica che sfida i lettori de La Bucanera.