Il vino che si usava a tavola, a messa e in guerra faceva stare allegri, talvolta faceva sognare, altre volte teneva lontano le malattie, o almeno così si credeva, ed erano diverse le terapie che lo vedevano soggetto indiscusso. Di sicuro aiutava a dimenticare la fatica, la fame, la morte che da sempre aleggiava sui borghi e sui villaggi, sui masi e sulla gente di montagna. Aveva e ha nomi corposi, sia esso bianco o nero: Lagrein, Gewurztraminer, Blauburgunder/Pinot Nero, Teroldego - che si narra derivi da Tiroler Gold, l'oro dei Tirolo -, Marzemino (il romano Marceninum). E non dimentichiamo i nomi dei vitigni scomparsi o che sopravvivono in qualche nicchia ecologica, nomi arcaici, saporiti, di antica memoria come l'Enanzio Lagarino noto agli antichi come Oenanthium, la scomparsa Pavana valsuganotta portata un tempo in questa terra dai Colli Euganei padovani, dove aveva il nome di Pattaresca, o la Biancaza, o la rossa Rossara o Turca. Una cultura, quella del vino, che ancor oggifunge da cerniera tra il mondo nordico e quello mediterraneo. Un mondo dove l'intelligenza funzionale ha saputo creare terrazzamenti, ritagliare appezzamenti, dissodare i terreni giusti per far crescere le uve in claves, allevate a filari e potate basse, oppure le maiores, lasciate libere di crescere senza sostegni vivi. Attraverso storie e leggende, commerci e itinerari da percorrere a piedi nel Trentino e nell'Alto Adige, questo libro vuole raccontare l'anima e il cuore di una terra che ha fatto del vino, da tempi immemorabili, uno dei fulcri della propria cultura umana ed economica.