Jacques Tati rimane nell'immaginario collettivo un'immagine burlesca, una figura con ombrello e pipa. Ma al di là del suo cinema comico, il regista si è definito anche per scelte artistiche e tecniche che formano una firma visiva distintiva e riconoscibile. La sua comicità si riflette in questo. Sviluppando situazioni basate sull'inquadratura, sull'ottica, ma anche sul suono e sulla discrepanza tra ciò che si vede e ciò che si sente, Tati ha creato un'opera comica ricca nella sua forma e non solo nel suo contenuto. Mettendo in discussione le scelte di inquadratura, scala e tempo, questo libro si impegna nella definizione di uno spettatore potente, intelligente, persino onnisciente. Attraverso l'analisi di un cinema panottico, ci chiediamo se la libertà offerta allo spettatore sia gratificante o costrittiva da questo eccesso di autonomia. Dov'è il posto per le risate, per lasciarsi andare? Lo spettatore di Tati è intelligente come vorrebbe il regista? Il risultato rimane coinvolgente, commovente, divertente? La risata fiorisce in questi fotogrammi, in queste inquadrature? O si perde in questa teoria del "vedere tutto"?