Traducendo la duplice sfida di inserire la scrittura antropologica in una dimensione lirica, senza però assentarne il carattere accademico, l'autore espone un'esperienza estetica la cui spina dorsale è il "corpo" - i tanti, tantissimi corpi possibili sulla "scena". Ampliando le possibilità di voce dei soggetti che partecipano alla ricerca, ciò che vediamo sono i poteri, le narrazioni e le immagini che emergono nella scrittura. Caratterizzando uno scenario improbabile in cui il riferimento per la ricerca scenica sarebbe lontano dall'ethos della Capitale Nazionale del Petrolio (Macaé), ci avviciniamo alla produzione di un fertile campo di esplorazione attraverso la danza; vale la pena dire che si tratta di una danza priva di un quadro di genere specifico che la sottoponga a qualsiasi servitù estetica - è una danza politica; un corpo politico che danza. Ma il dilemma che attraversa la disobbedienza di questi attori sociali va oltre il palcoscenico e la strada; da un lato, si delinea una genealogia del "protagonismo" come categoria epistemologica e, dall'altro, si accentuano i muri sulla natura dell'opera/inclusione che questi movimenti hanno osato abbattere. Se la rottura, l'arte è quella linea sottile tra godimento e tragedia.
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