La sofferenza agli occhi dei malati terminali può essere provata solo da chi la subisce, non dai suoi cari o dal personale medico. Tuttavia, la questione di chi abbia il diritto di determinare quanta sofferenza un individuo debba sopportare e per quanto tempo è ancora considerata controversa nella nostra società. Sebbene l'eutanasia sia il termine greco per "buona morte", non è mai stata considerata o praticata come tale nella società occidentale. Il termine stesso di eutanasia è molto conflittuale e ha due significati, secondo Keown: "porre fine alle sofferenze e alle cure prolungate di un paziente malato terminale" o "praticare l'eutanasia con un'iniezione letale" (2002). Inoltre, l'eutanasia può essere classificata in tre modi. C'è l'"eutanasia volontaria", in cui il paziente richiede di sua spontanea volontà il processo di eutanasia per porre fine alle sue sofferenze. C'è poi l'"eutanasia non volontaria", in cui l'atto di eutanasia viene eseguito su pazienti che non sono in grado di prendere una decisione informata. Infine, c'è l'"eutanasia involontaria", in cui l'eutanasia viene eseguita contro le richieste di un paziente pienamente competente (Keown, 2002).