È ben arduo scrivere di Louis-Claude de Saint-Martin (1743-1803), in quanto l'insegnamento che traspare dai suoi scritti è una medicina per l'anima assai indigesta per la mente dell'uomo e, soprattutto, dell'iniziato contemporaneo. Tale discrepanza, fra la necessità di siffatto linimento e la repulsione che esso suscita in molti, è dettata fondamentalmente da due ordini di motivi. Il primo risiede nella natura squisitamente cristiana della narrazione, dei simboli, della morale e dell'insegnamento che Louis-Claude de Saint-Martin instilla, senza risparmiarsi, nei suoi scritti. Il secondo è da ricercarsi nella particolare presbiopia cognitiva che pare affliggere molti "iniziati" ed esoteristi contemporanei, i quali ricercano sempre quanto è maggiormente complicato e sottilmente artefatto, rispetto a quanto è semplice e utile per l'opera laboriosa a cui si dovrebbero sottoporre. Ecco quindi, come pratiche quali la preghiera e la meditazione (che altro non è che una forma intensiva ed essenziale del pregare), siano considerate passive, inutili e frutto di un devozionalismo che non deve neppur sfiorare l'ombra dei loro paludamenti. Ovviamente in ciò vi è un grande errore di metodo e di concetto. L'errore di metodo consiste nel non valutare come, necessariamente, anche il più sublime atto teurgico trovi propedeuticità nella preghiera e nella purificazione. L'errore di concetto, risiede nel considerare la preghiera un non-strumento legato al devozionalismo religioso.
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