Io scrivo dal rifugio, dove il vento diventa ghiaccio, dove l'aurora spunta dalle fessure del muro e dove scivola lontano la memoria di quello che si dovrebbe. Qui manca il cielo e mancano i respiri lievi, la grandiosità del mondo e l'ansia. La tenebrosità mi sta accanto, la solitudine e il silenzio e quell'atmosfera, che porta solo a pensare se conviene continuare a rimanere, oppure gettarsi nel baratro dell'indifferenza nel mondo. Ora tutto è vuoto attorno a me, tutto rintanato come si conviene e, nemmeno le voci degli altri, sparsi lungo le scale, può servire. Sto con le mie cose, quelle di sempre, che non mi hanno mai lasciato e pure io non le ho lasciate e mi mancano le altre, quelle che avevo e pure quelle che tenevo senza saperlo. È passata una settimana e tutto è come prima e rimarrà sempre come prima, non cambia nulla e nulla si rinnova e si tralascia. Ogni cosa ritorna, come non lo è mai stata e si sente e non viene nulla in ogni cosa. Il gelo mi è amico e la nostalgia supera la tenue asperità dell'abbandono. Nascosto e disagiato, cerco di stare nell'armonia che mi compete e mai cercherò di cadere nella depressione che ho appena lasciato. Rintanato in questo bugigattolo di casa, nascosto agli sguardi, m'innalzo con le ali del mondo, su quelle frecce appuntite, rivolto verso il sole, anche se il vento mi spinge lontano.
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