Nel 1991, tra i ghiacci del Similaun, nell'alta val Senales, a pochi metri dal giogo di Tisa (Tisenjoch) e quasi al confine tra l'Italia e l'Austria è venuto alla luce il corpo mummificato di un uomo, la cui morte risale all'età del rame (3200 a.C. circa). Nella sua faretra egli portava con sé un arco non ancora finito e dodici frecce incomplete di legno di viburno (Viburnum Lantana L.). La stranezza di un arciere che sale a così alta quota con delle frecce inoffensive, ha attirato l'attenzione dell'autore che, per merito di una precedente ricerca, già conosceva l'ambito degli usi pratici e le consuetudini rituali basate sulle credenze nei poteri magici del Viburno (Marmai, I. 2016, "Benandanti-Balavants. Antropologia dello Sciamanesimo tra le Alpi e il Caucaso"). La ricerca è valsa così a collocare la morte dell'uomo dei ghiacci nei giorni del solstizio estivo, durante un (finto) combattimento rituale, alla fine del quale tutti ritornavano a valle. Tutti meno uno, predestinato come offerta alla divinità
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