Per Pellico la Barolo è, dopo molti anni di stretta collaborazione, una donna "venerata" perché da ammirare per il suo attivismo benefico, ma anche "amata", parola più ambigua e di difficile interpretazione, anche considerando che all'epoca il verbo amore si usava con un'estensione più ampia rispetto a come si fa attualmente, "amata" resta una parola forte, soprattutto dopo che due anni prima si era diffusa la falsa notizia di un matrimonio segreto celebrato a Roma tra la Barolo e il Pellico. La correttezza e il rispetto del Pellico per la Barolo è testimoniata tuttavia dal fatto che, se nel 1833 Giulia poteva ancora essere Giulietta o Juliette in alcune lettere dello scrittore al nobile piemontese Pietro Di Santarosa, dopo il 1834 Giulia diventa la "signora marchesa" la mia "padrona" o "benefattrice" e Pellico non la chiama più per nome neppure nelle lettere al fratello Luigi o ad amici stretti come Pietro Borsieri e Federico Confalonieri.
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