Il seme della cura non è, forse, già contenuto nel terreno della malattia? Una domanda, questa, che attraversa tutto il libro scritto da un medico durante il tempo della propria malattia avvenuta nel corso delle prime due ondate pandemiche. Un viaggio attraverso ricordi, racconti, casi di pazienti, esperienze di colleghi, letture ritrovate che sono state il motore di riflessioni sui temi della cura e della malattia. La cura, prima che una risposta, è una domanda che ci costringe a sostare davanti a noi stessi ma soprattutto davanti all'altro. Il trauma della pandemia ha lasciato in dono una grande lezione per chi l'ha voluta accogliere: non sarà l'appagamento individuale ma la capacità di farci responsabili non solo di noi stessi ma anche della relazione con l'altro a rendere la nostra vita migliore. Saper assumere le parti scomode, il dolore, la sofferenza, senza rigettarle, offrendo loro ospitalità dentro di noi, rimanere accanto alla fragilità dell'altro, pur senza risposte, permette di accedere a quel nucleo di verità che ci accomuna come esseri umani. I casi clinici, i racconti, contenuti in questo libro ci mostrano il senso e la direzione di questa verità. La medicina, quale scienza dell'uomo, proprio al fine di perseguire il rigore, è sempre più chiamata ad accogliere tali esperienze nei propri orizzonti di pensiero perché sono queste ad insegnarci che la cura deve, prima di tutto, saperci fare con quell'umana verità che non può essere ridotta all'esattezza.
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