Cos'è un segno? A cosa serve? A chi è destinato? Me lo sono sempre domandato. A volte è l'uomo a produrlo, scrivendo, dipingendo, disegnando su un foglio o scolpendo nel marmo. Altre volte è invece puro linguaggio della natura. A volte un segno è la traccia lasciata dall'uomo lungo il suo vivere. E sovente non è bella a vedersi. Tutto è segno. Segno d'usanze, di costumi, di genti. A chi sa soffermarsi anche solo dieci minuti al giorno, il mondo lancia segni e segnali. E, quasi mai, lo fa in modo esplicito, banale. Sono sensazioni, talora indizi, che la natura ci invia. Di solito lo fa scrivendo con la bellezza, a volte con la forza, con la creatività, a tratti veicolando stupore, meraviglia, gioia. A volte costruiamo castelli in aria, rapiti da qualcosa di reale, ma che sa essere così fantastico che ci pare sia composto della stessa materia dei sogni. Ci sono voluti anni per capire che questi segni esterni, apparentemente insignificanti, a cui poco davo inizialmente peso, possono inciderti l'animo come mani sapienti sanno fare con l'argilla. Sta però a noi voler essere quell'argilla, cogliere quei segni, farci modellare l'animo, saper ascoltare, riuscire cioè a osservare il nostro sé da fuori. Per chi scriviamo, a chi vogliamo lasciare segni del nostro fugace passaggio? A volte a nessuno, a volte solo a noi stessi, pur tra tanti anni. Certe volte diviene esigenza interiore che monta dentro e che richiede silenzi per maturare, magari alla sera o di notte. Comunque nei silenzi della riflessione o dopo aver lasciato decantare il tumulto d'una emozione. Se cercate qui un instant book, bè vi troverete descritto un istante che però è durato, pur come in un soffio, almeno mezza della mia vita...
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