L'anticlericalismo è stato sempre ben presente e radicato nella storia italiana già a partire dal Risorgimento, a causa essenzialmente dell’impedimento che la Chiesa costituiva per l'unificazione del Paese, ma anche per la sua modernizzazione sia culturale che economica in un’epoca in cui l’industrializzazione stava trasformando diversi Paesi europei in grandi Potenze. Questa corrente ideologica si esplicò con atteggiamenti sia pacifici che violenti volti a contrastare quella che veniva interpretata come un’intromissione del potere ecclesiastico nella vita politico-sociale italiana. Tra i primi si distinguevano gli scritti liberali, tra i secondi soprattutto le azioni dei socialisti e degli anarchici. Per quanto riguarda questi ultimi non mancarono anche produzioni di carattere intellettuale come la pubblicazione di giornali, libelli e conferenze di carattere propagandistico che costituirono nell’insieme quel periodo del cosiddetto “risveglio anticlericale nazionale” che si protrasse in particolare tra il 1906 ed il 1911. In tale contesto si inserisce quest’opera di Pasquale Binazzi, uno dei più attivi anarchici del tempo, il quale sull’onda dell’emozione per la condanna a morte dell’intellettuale repubblicano spagnolo Francisco Ferrer y Guardia pensatore pacifista, anticlericale, pedagogista libertario, realizzò questo opuscolo che rappresenta una delle poche opere d’analisi intellettuale che esplicano il perché sia necessario superare l’istituzione ecclesiastica per dar modo al libero pensiero umano di esprimersi senza limiti.