Diana Maat è vincitrice del XXII Premio Nazionale "Ossi di Seppia" (2016) con "Nozze" e "Oro per la vipera" poesie aggiunte a questa edizione della raccolta.
Diana Maat è dunque Sacerdotessa del Tempio, di quel luogo in cui è racchiuso, segreto, il mistero del sapere, una gnosi impronunciabile che cela in sé il senso. Un mistero che non è solo un conoscere puramente intellettivo, epistemologico ma, soprattutto, uno svelamento etico e, di conseguenza, un viatico salvifico.
Ciò che Diana Maat racchiude in sé, il segreto e lo scandalo del culto di Madre-Terra-Natura non si può e non si deve svelare.
Il paesaggio poetico deve essere e restare un luogo “altro” per il lettore ma, come in un perfetto cammino di gnosi, passo dopo passo, un senso emerge, un significato profondo che si rivela in immagini dotate di forza inebriante, quasi stordente (a ricordo di pratiche cultuali sciamaniche). Icone archetipiche che trasudano, quasi fossero effluvi, emozioni di inaudita potenza e di dirompente impatto.
Vi è in queste immagini tutta la carnale, seducente, ammaliante femminilità reale della Natura. In questa concreta presenza degli umori e dei sudori, degli odori boschivi e dei profumi assistiamo a una scandalosa e vitale transustanziazione: la Natura, tramite il Sacerdozio della poetessa vissuto nella sua parola poetica, consente di vivere il segreto. Nella parola annunciata, sacra e poetica, ci si appropria della Natura-Madre-Mediterranea, la si possiede e nel possederla si giunge al segreto.
Che in quanto tale non può essere raccontato, né descritto.
Deve restare silenzio.
La salvezza che il culto della Sacerdotessa offre al lettore è una salvezza dello scandalo, lo scandalo di poetare ciò che non può essere detto e lo scandalo di offrire la pura, assoluta vitalità della Natura al cammino (gnostico) del lettore.
La poesia smette il suo ruolo contemporaneo di spazio della parola (più o meno musicale) e ritorna a essere il luogo originario della creazione, della poiesis. Una creazione che non è artistica, intellettuale, astratta ma è azione della Natura, della vitale essenza del paesaggio pulsante del Mediterraneo dipinto. Un’azione che è, in fondo, parto.
E se lo scandalo della poesia fosse portato alle sue estreme conseguenze, potremmo concludere questa introduzione semplicemente osservando che Diana Maat è, nel suo suo essere poetessa-donna-sacerdotessa, colei che annuncia la Madre: la Natura che dà la vita e il senso della vita.
In essa il lettore nasce. Per la prima volta.
Diana Maat è dunque Sacerdotessa del Tempio, di quel luogo in cui è racchiuso, segreto, il mistero del sapere, una gnosi impronunciabile che cela in sé il senso. Un mistero che non è solo un conoscere puramente intellettivo, epistemologico ma, soprattutto, uno svelamento etico e, di conseguenza, un viatico salvifico.
Ciò che Diana Maat racchiude in sé, il segreto e lo scandalo del culto di Madre-Terra-Natura non si può e non si deve svelare.
Il paesaggio poetico deve essere e restare un luogo “altro” per il lettore ma, come in un perfetto cammino di gnosi, passo dopo passo, un senso emerge, un significato profondo che si rivela in immagini dotate di forza inebriante, quasi stordente (a ricordo di pratiche cultuali sciamaniche). Icone archetipiche che trasudano, quasi fossero effluvi, emozioni di inaudita potenza e di dirompente impatto.
Vi è in queste immagini tutta la carnale, seducente, ammaliante femminilità reale della Natura. In questa concreta presenza degli umori e dei sudori, degli odori boschivi e dei profumi assistiamo a una scandalosa e vitale transustanziazione: la Natura, tramite il Sacerdozio della poetessa vissuto nella sua parola poetica, consente di vivere il segreto. Nella parola annunciata, sacra e poetica, ci si appropria della Natura-Madre-Mediterranea, la si possiede e nel possederla si giunge al segreto.
Che in quanto tale non può essere raccontato, né descritto.
Deve restare silenzio.
La salvezza che il culto della Sacerdotessa offre al lettore è una salvezza dello scandalo, lo scandalo di poetare ciò che non può essere detto e lo scandalo di offrire la pura, assoluta vitalità della Natura al cammino (gnostico) del lettore.
La poesia smette il suo ruolo contemporaneo di spazio della parola (più o meno musicale) e ritorna a essere il luogo originario della creazione, della poiesis. Una creazione che non è artistica, intellettuale, astratta ma è azione della Natura, della vitale essenza del paesaggio pulsante del Mediterraneo dipinto. Un’azione che è, in fondo, parto.
E se lo scandalo della poesia fosse portato alle sue estreme conseguenze, potremmo concludere questa introduzione semplicemente osservando che Diana Maat è, nel suo suo essere poetessa-donna-sacerdotessa, colei che annuncia la Madre: la Natura che dà la vita e il senso della vita.
In essa il lettore nasce. Per la prima volta.