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Se argomentare di globalizzazione può apparire relativamente semplice per la sua contemporaneità storico-sociale, non appena si introduce il tema dell’aggressività, della violenza e del conflitto umano, si spalanca un tempo dell’uomo e delle sue vicende che ci riporta ad abbracciare un arco temporale di oltre 2500 anni. Ogni scienza, fin dalle origini, ha cercato tracce di comprensione dell’aggressività, nelle sue diverse forme, fino alla violenza nel suo apice: il genocidio. Il mondo maschile sta affrontando nel terzo millennio, quello della globalizzazione, una regressione mentale e…mehr

Produktbeschreibung
Se argomentare di globalizzazione può apparire relativamente semplice per la sua contemporaneità storico-sociale, non appena si introduce il tema dell’aggressività, della violenza e del conflitto umano, si spalanca un tempo dell’uomo e delle sue vicende che ci riporta ad abbracciare un arco temporale di oltre 2500 anni.
Ogni scienza, fin dalle origini, ha cercato tracce di comprensione dell’aggressività, nelle sue diverse forme, fino alla violenza nel suo apice: il genocidio.
Il mondo maschile sta affrontando nel terzo millennio, quello della globalizzazione, una regressione mentale e comportamentale grave e generalizzata, portatrice di aggressività e violenza diffusa e trasversale, ovunque nel Mondo.
I rapporti umani si caricano di una profonda, complessa e arcaica distruttività ove le donne, l’infanzia e i soggetti deboli si trovano al centro di queste energie represse e mai educate.
L’Autore ritiene che le ragioni siano un correlato tra fattori biologici, psicologici e sociali il cui meccanismo appare inceppato a vari livelli.
Il volume offre una “mappa orientativa” densa di nuove argomentazioni, integrate tra pensiero psicoanalitico, neuroscienze e psicologia sociale, che costituiscono la nuova frontiera dell’indagine scientifica.
Un pensiero riflessivo e di azione rivolto a educatori, professionisti e a tutti coloro che hanno l’ambizione di scalfire un quotidiano umano spesso anestetizzato e travolto dalla nuova “banalità del male”, che si alimenta anche delle molte forme di “demenza digitale” indotte dal nostro tempo tecnologico