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«Questo libro inizia con una storia che mi hanno raccontato. C’era un giostraio – un ex giostraio per la precisione, dato che era ormai in pensione da qualche anno – che a un certo punto della sua vita si trovò in difficoltà per motivi economici. Non era una cosa rara a quell’epoca, negli anni dieci del secondo millennio. Per superare l’ostacolo, il giostraio chiese aiuto ai servizi sociali. Chissà, forse prima aveva provato con i parenti, gli amici o i conoscenti, ma il fatto è che un giorno si presentò spontaneamente allo sportello dei servizi e parlò con un’assistente sociale che raccolse…mehr

Produktbeschreibung
«Questo libro inizia con una storia che mi hanno raccontato.
C’era un giostraio – un ex giostraio per la precisione, dato che era ormai in pensione da qualche anno – che a un certo punto della sua vita si trovò in difficoltà per motivi economici. Non era una cosa rara a quell’epoca, negli anni dieci del secondo millennio. Per superare l’ostacolo, il giostraio chiese aiuto ai servizi sociali. Chissà, forse prima aveva provato con i parenti, gli amici o i conoscenti, ma il fatto è che un giorno si presentò spontaneamente allo sportello dei servizi e parlò con un’assistente sociale che raccolse tutte le informazioni utili, sbrigò le necessarie pratiche burocratiche e invitò il giostraio a presentarsi a un secondo incontro. Qualunque cosa abbia pensato il nostro amico dopo questo primo colloquio, egli si presentò puntuale al suo secondo appuntamento. E probabilmente fu sorpreso dalla proposta ricevuta dall’assistente sociale di entrare a far parte di un progetto un po’ speciale, che consisteva nel collaborare alle attività di un centro sociale per anziani che si trovava proprio nel suo quartiere.
Non si trattava di dare lavoro in cambio di soldi, sia chiaro. Ma di far parte di un progetto, ovvero di condividere con qualcuno una finalità (animare il quartiere per le persone a maggior rischio di esclusione sociale?), delle risorse (un piccolo edificio riscaldato, un ufficio, alcune stanze per ritrovarsi, sedie, poltrone, un mezzo di trasporto…) e un piano d’azione (attività programmate, tempi di realizzazione…). Pare, infatti, o almeno così sembrò all’assistente sociale, che le difficoltà economiche di questa persona fossero collegate strettamente alla sua solitudine. Si sa che un uomo solo non ha reti di protezione e, quindi, quando cade, precipita nel vuoto. E allora fu invitato a partecipare a un progetto: un modo rapido per instaurare relazioni che abbiano un senso.
[…] Questa storia mi è stata raccontata da un’assistente sociale. Le avevo chiesto, a lei come ai suoi colleghi, di narrarne una in grado di rappresentare il significato più profondo della sua professione. Tra tutte le storie narrate, questa è stata scelta dal gruppo degli assistenti sociali con cui lavoravo come la più rappresentativa della loro attività. La storia può essere così schematizzata: un ex giostraio in difficoltà economica chiede aiuto al servizio sociale; l’assistente sociale (ricorrendo alla pazienza e all’intuito) rileva il problema della solitudine e (ricorrendo all’agilità e alla prudenza), aiuta il protagonista a inserirsi come volontario in un Centro sociale; il protagonista riconquista la propria autonomia e rimane a fare il volontario nel Centro sociale anche alla fine del percorso offerto dall’assistente sociale.
[…] Insomma, grazie a questa storia e alle altre che mi sono state raccontate è stato possibile individuare uno schema di storia adeguato a rappresentare efficacemente e correttamente la figura dell’assistente sociale come figura di sostegno nei percorsi di conquista dell’autonomia delle persone all’interno della loro comunità. Una storia di empowerment. Una persona e la sua comunità che aumentano gradualmente il controllo sulla propria vita.
Simone Giusti