Il limite è una linea di confine, della quale non si può fare esperienza, perché separa, ma non vi si può vivere. Eppure è necessario pensare che cos’è, visto che un limite è anche la nostra nascita o la nostra morte, insomma il nostro venire ad essere ed il nostro svanire irrevocabile. Finora la filosofia e la scienza hanno semplicemente negato che il limite ci sia: la prima parlando dell’immortalità dell’anima, alla quale, oggi, nessuno crede più; e la seconda quando pensa, come fanno le neuroscienze, di poter dedurre l’anima dal corpo. Peccato che, negando che il limite ci sia, in realtà la scienza nullifica l’intero universo, e anche sé stessa e la sua verità. La nostra morte, in effetti, non è solo l’annullamento della nostra vita, ma anche dell’intero universo, come dimostra il fatto che, prima di nascere, facevamo parte del mondo, e tuttavia non ne sapevamo nulla. Quindi nemmeno il mondo sapeva nulla di sé stesso. In questo libro, scritto in prosa e in versi – che pretende d’essere ultimo, come un testamento –, si propone un altro mito – fenomenologico, stavolta – del superamento del limite: l’immortalità del corpo. L’eternità, come capì Sant’Agostino, non è un tempo che duri eternamente, ma è l’istante del sovratemporale: che è l’istante stesso in cui, finché viviamo, noi decidiamo della nostra vita, e quindi anche del destino dell’intero universo.