Ma che lingua adoperano questi due? Italiano? Arabo? Inglese? Greco? E poi, Al Qantarah e Bridge non significano la stessa cosa? Col pretesto di parlare delle “terre dello stretto”, non si saranno montati un po’ troppo la testa? Perché coinvolgere storia e geografia? E la letteratura, almeno, non potevano lasciarla in pace? Volevano scrivere dei racconti per parlare di un ponte? Che lo facessero! Che bisogno c’era di scomodare tutto il resto? Federico II, Giufà, i Siculi, i Bruzi, i miti greci, la sensualità, la cultura araba, la mentalità spagnolesca, la corda pazza, l’Aspromonte, Wojtyla… E quella puntata nel futuro non è allucinazione pura? Cosa hanno da spartire Calabresi e Siciliani che, come dice Beppe Grillo, sono troppo diversi per tollerare che un ponte li unisca? Il vero quesito a questo punto è: Abbiamo a che fare con un’opera frutto di allucinazione poetica o con una tesi ardita, risultato di un’analisi rigorosa?