Ante Lucem (in latino «Prima della luce») è un ciclo di poesie scritto nel 1898-1900 da Aleksandr Blok (1880-1921), uno dei massimi poeti della letteratura russa di ogni tempo e grande esponente del simbolismo. Si compone di 76 poesie. Alcune poesie del ciclo sono dedicate a Kseniâ Mihàjlovna Sadóvskaâ (1861-1925), che Blok conobbe nel 1897, durante un viaggio a Bad Nauheim, in Germania. Nonostante la notevole differenza di età – lei 19 anni maggiore – tra i due è nata una storia d’amore che è durata come filone importante per tutta la vita di Blok, morto a soli 41 anni. In Ante Lucem possiamo osservare che la prospettiva poetica di Blok non si è ancora del tutto formata. Già in questo periodo della sua opera inizia la contrapposizione fra terreno e ultraterreno, fra terrestre e celeste, fra la Terra e gli altri pianeti. In particolare, il fuoco dell’ispirazione poetica è considerato pagano, peccaminoso, mentre la preghiera e la devozione al pensiero elevano e sono cristiani. Il motivo di ciò è che l’amore corporeo e i suoi desideri, le sue frustrazioni naturalmente sono legati al “paganesimo” dell’ispirazione poetica, dai quali ci si riscatta ed eleva con la preghiera. Sono i due lati dell’amore, umano e divino, che si riverberano anche nella creazione poetica. Blok non rinnega però mai il “politeismo”, ancorato com’è alle varie divinità folcloriche e anche all’adorazione degli astri e degli elementi naturali meteorologici. La poesia di Blok è variegata. Il poeta ha attraversato diverse fasi – come del resto succede spesso agli artisti – e in ciascuna fase ha cambiato sia i temi della propria lirica sia le strutture formali nelle quali si è espresso. Dal punto di vista metrico, ci sono poesie molto ritmate, in cui si alternano versi parisillabi e versi imparisillabi (per esempio 8-9-8-9-8-9-8-9), e poesie con verso libero, un fatto piuttosto insolito nella poesia russa, particolarmente in quella di oltre un secolo fa. La traduzione è condotta avendo come dominante il metro, in nome del quale se necessario si sono talvolta sacrificati il numero delle parole, il significato preciso di alcuni lemmi, la completezza a volte quasi ridondante di alcune descrizioni. La rima è stata sacrificata quasi sempre. Sarebbe impossibile riprodurla senza creare l’effetto “filastrocca”. Il punto esclamativo merita un discorso a parte. I discorsi russi ne sono spesso infarciti, a partire dalle lettere che, dove da noi cominciano con «Caro Dario,», in russo cominciano con «Caro Dario!». L’esclamativo russo quindi non corrisponde a quello italiano. In certe poesie il punto esclamativo in italiano è un vero e proprio schiaffo, una parete di metallo che costringe la nostra interpretazione, la forza, la rende esageratamente enfatica a buon prezzo, privandola di qualsiasi connotazione lirica. Lasciamo gli esclamativi alle filastrocche, che sono quanto di più lontano si possa immaginare dalla poesia, e bandiamole da quest’ultima, se vogliamo preservare la qualità della lirica. Questa operazione, che a prima vista potrebbe sembrare arbitrio del traduttore, è di fatto – a mio parere – mero adattamento culturale. Le persone che conoscono la lingua russa possono seguire lo spirito di questa versione, e i principianti possono usare il testo a fronte come base per conoscere parole, strutture, combinazioni nuove. Il testo originale è dotato di accenti tonici per facilitare la corretta pronuncia. Spesso si creano raccolte tradotte basate sul gusto del curatore o del traduttore, o su una scelta di quella che viene ritenuta “la parte più bella” della produzione di un poeta.