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Il presente lavoro intende riflettere sul rapporto tra meccanismi di potere e processi di esclusione, ponendo in evidenza i mutamenti intervenuti nella distribuzione spaziale della devianza. Nella prima parte si traccia la storia e lo sviluppo dei “trattamenti intramurari” delle devianze fino alla prima metà del ‘900; nella seconda, invece, partendo dalle attuali modalità di gestione, s’ipotizza l’esistenza di un latente meccanismo, sociale e istituzionale, attraverso il quale la devianza e certe tipologie di criminalità (necessary crime) vengono confinate in particolari spazi, denominati…mehr

Produktbeschreibung
Il presente lavoro intende riflettere sul rapporto tra meccanismi di potere e
processi di esclusione, ponendo in evidenza i mutamenti intervenuti nella distribuzione
spaziale della devianza. Nella prima parte si traccia la storia e lo
sviluppo dei “trattamenti intramurari” delle devianze fino alla prima metà
del ‘900; nella seconda, invece, partendo dalle attuali modalità di gestione,
s’ipotizza l’esistenza di un latente meccanismo, sociale e istituzionale, attraverso
il quale la devianza e certe tipologie di criminalità (necessary crime) vengono
confinate in particolari spazi, denominati “aree d’interdizione”. Ebbene,
in questi luoghi, collocati all’interno della città (shadow space) o ai suoi margini
(no law zone), vengono tollerate numerose condotte marcatamente devianti
(come la prostituzione) o attività economiche apertamente criminali
(come lo spaccio di sostanze stupefacenti), che per ragioni etiche o giuridiche,
non possono essere negoziate alla luce del sole, ma delle quali, allo stesso
tempo, vi è una importante richiesta da parte della collettività. Tali aree, che
nella narrazione pubblica e nell’immaginario collettivo vengono aspramente
contrastate, sono di fatto tollerate e rappresentano la parte nascosta della
città, la sua ombra rimossa e inconfessabile, con la finalità di garantire alla
comunità la fallace sensazione d’integrità morale e rispetto delle regole.