Il titolo, apparentemente scherzoso dell’opera, vuole invece distinguere i vari stadi, i diversi impegni, le qualità di tutti coloro che, avvicinandosi al teatro, pervengono a risultati molto diversi, anche se alcuni, di solito, credono fallacemente di aver raggiunto il massimo. Si può affermare che questa è un’opera singolare, diversa da molta altra “roba” che c’è in giro, nella quale, senza complicate ambagi, senza ampollose disquisizioni, l’autore si rivolge ai propri lettori come in seno a una serena discussione, evitando cattedratiche affermazioni, toni sussiegosi o pesanti autorevolezze. Parlando in prima persona singolare, Giordano intavola una serie di disamine, di discorsi, di indagini serissime, condendole con il sorriso, la battutina e, soprattutto, temperando, addolcendo la scientificità e il rigore del testo con il respiro più ampio dell’aneddoto, della facezia, della curiosità. Gli otto capitoli in cui si divide l’opera sono intimamente connessi fra loro, anche se trattano aspetti diversi ma sovente complementari di un’attorialità a tutto tondo che si conquista per mezzo di studi correlati. Il cosiddetto talento è fondamentale e, dopo aver individuato con il lettore cosa esso sia e in che cosa consista, l’autore lo collega con altri elementi indispensabili con i diversi codici espressivi, quelli verticali delle ascendenze, quelli orizzontali dell’ambiente e con l’humus della cultura, elemento anch’esso imprescindibile. Giordano poi guida gli aspiranti attori attraverso le connotazioni di base, esemplificandole e articolandole per mezzo di esercizi specifici, frutto anch’essi di lavori condotti con allievi, specificandone tappe, risultati possibili, accomodamenti e quant’altro possa giovare a una crescita omogenea. Un paragrafo, reso abbastanza perspicuo, è dedicato, ad esempio, all’ insegnamento della meta-semantica teatrale e ciò dopo aver distinto e argomentato sugli elementi soggettivi dell’’animus e quelli obiettivi dei codici, per giungere alla comunicazione. Un particolare studio va a quell’elemento fondante del teatro occidentale che è la voce: impostazione, pattume di luoghi comuni, articolazioni, sonorità naturali e indotte, fraseggio, registri, ecc. L’attore viene poi visto nel corso delle interpretazioni di autori e di opere, collocate nei tempi storici di scrittura, ambientazione e messaggio nonché in messinscene moderne, in rapporto anche agli stili registici. Preparazioni culturali, tecniche specifiche, rapporti diacronici e sincronici diventano oggetti di studi attoriali e artistici che puntano ai diversi “specifici”. Ma anche le scuole sono viste ed esaminate attraverso ciò che in esse è rimasto o percorrendo i suoi rinnovamenti, evidenziando validità e obsolescenze, innovazioni e frusti reperti. Si va quindi al ruolo e alle tecniche delle avanguardie con esemplificazioni e strategie, isolando validità e pacchianerie, connotando così l’attore moderno. Una parte molto importante è dedicata ai comportamenti fuori scena e al “bon ton”. Un’appendice sulla dizione è condotta in vista di una consultazione e di una pratica e non già di una becera, completa memorizzazione delle regole. Conclude l’opera un glossario che include e spiega espressioni gergali o tecniche della “ microlingua” del palco o del “set”.