Ogni anno, a più di settant'anni d’età, Dylan percorre l'America e il mondo con cento e più concerti. Se la sua voce sembra ormai uscire da una caverna, la sua scrittura si è fatta sempre più obliqua e sofisticata, e le sue allegorie dell'America sono ancora senza paragoni. È l'unico veterano degli anni Sessanta che può permettersi di eseguire soprattutto le sue canzoni più recenti, lasciando poco spazio ai successi di una volta. Sempre impenetrabile, distaccato, apparentemente disinteressato a tutto ciò che non gli ricordi il perduto mondo del blues, del folk e della musica di un tempo, appare fermamente convinto (ed è quasi una bestemmia nell'era dei social media) che il mondo debba giudicare le sue canzoni e non lui, e che a nessuno debba importare che cosa pensa e che cosa fa quando non è sul palco a cantare. Ma, come Dylan batte le strade d'America, così i tentacoli dell'America si insinuano nella sua opera, vanno a dar forma alle sue canzoni, alle interviste dove a volte i giornalisti gli strappano una frase illuminante e mai risolutiva, alla sua costante ricerca di una "giustizia" biblica, giudaica e cristiana, americana e insieme critica dell'America. Strutturato come una minima enciclopedia di diciassette voci (Democrazia, Religione, Uguaglianza, ma anche Fans, Blues, Concerti), questo libro scava nel complesso rapporto che lega Bob Dylan alla sua terra, raggiungendo gli strati più profondi, finora mai portati alla luce, della mistica dylaniana.