Con uno sguardo cristallino, Fagnoni racconta storie quotidiane di vita bolognese, tra piazza Maggiore e Corticella, da piazza Verdi al Pilastro, dal carcere al parco delle Caserme Rosse, fino a una corsia del pronto soccorso dell’ospedale Maggiore. Un uomo solitario e taciturno con la mania dell’ordine e la passione per Warcraft, un postale in pensione che, in amnesia totale, non ricorda di avere massacrato moglie e genero, un uomo di nome Gastone Fortuna che viene accusato di essere un “uccello del malaugurio” perché intorno a lui capitano sempre sciagure, ma si tratta veramente di superstizione?, e poi ancora un tagliatore di teste solitario che vaga in una Bologna scintillante illuminata a festa e si ritrova a trascorrere la vigilia di Natale con un vecchio tabaccaio e il figlio malato, un uomo con una sordità selettiva, un giovane al suo primo giorno come vigile urbano in via Petroni, un professore di liceo apparentemente riluttante alla tecnologia.
E poi storie di uomini e donne comuni, raccontati in un ventaglio di infinite variazioni sul tema della coppia, della solitudine, del matrimonio, della vecchiaia, del lavoro, dei rapporti umani e dei sentimenti di paura, rabbia, gioia, dolore, frustrazione.
Ventuno racconti brevi che ci danno nel loro insieme una matura e magistrale pennellata che è vividamente lucida, immediata, precisa e a volte spietata, del sostrato cittadino fatto di gente comune, famiglie, coppie, singoli, ultimi, perdenti, falliti, emarginati, ingenui, violenti, nostalgici, invecchiati in fretta, di invisibili che – ognuno nell’infrangibile mistero della propria esistenza – fanno ribollire l’anima di una città.
«Immagino una primavera qualsiasi in un futuro remoto, ma non impossibile, un futuro privo di uomini, privo di contraddizioni, dove le antiche mura della città turrita siano assediate da piante rampicanti, edere inarrestabili, crepe non riparabili, immagino una Bologna vuota, con ancora le case del centro storico in piedi in attesa della imminente riscossa della natura, una Bologna silenziosa, priva di gente, priva di miseria, di ipocrisia, di decadenza e arrivo alla conclusione che Bologna si può continuare ad amarla, annusandola attraverso la sua storia, attraverso i vecchi muri imbrattati da graffiti demenziali. Osservo la mia idea di una primavera bolognese privata dalla presenza dell’uomo e questo pensiero per me è fonte di pace, una pace duratura, quasi definitiva e rimango a contemplare il Navile che con il suo borbottio artificiale sembra quasi darmi ragione».
E poi storie di uomini e donne comuni, raccontati in un ventaglio di infinite variazioni sul tema della coppia, della solitudine, del matrimonio, della vecchiaia, del lavoro, dei rapporti umani e dei sentimenti di paura, rabbia, gioia, dolore, frustrazione.
Ventuno racconti brevi che ci danno nel loro insieme una matura e magistrale pennellata che è vividamente lucida, immediata, precisa e a volte spietata, del sostrato cittadino fatto di gente comune, famiglie, coppie, singoli, ultimi, perdenti, falliti, emarginati, ingenui, violenti, nostalgici, invecchiati in fretta, di invisibili che – ognuno nell’infrangibile mistero della propria esistenza – fanno ribollire l’anima di una città.
«Immagino una primavera qualsiasi in un futuro remoto, ma non impossibile, un futuro privo di uomini, privo di contraddizioni, dove le antiche mura della città turrita siano assediate da piante rampicanti, edere inarrestabili, crepe non riparabili, immagino una Bologna vuota, con ancora le case del centro storico in piedi in attesa della imminente riscossa della natura, una Bologna silenziosa, priva di gente, priva di miseria, di ipocrisia, di decadenza e arrivo alla conclusione che Bologna si può continuare ad amarla, annusandola attraverso la sua storia, attraverso i vecchi muri imbrattati da graffiti demenziali. Osservo la mia idea di una primavera bolognese privata dalla presenza dell’uomo e questo pensiero per me è fonte di pace, una pace duratura, quasi definitiva e rimango a contemplare il Navile che con il suo borbottio artificiale sembra quasi darmi ragione».