Nella camera numero ventisei di una casa di cura per malattie mentali è ricoverato un uomo in condizioni catatoniche. Tiene tra le mani una pietra e si esprime utilizzando una sorta di linguaggio telegrafico in cui cerca la precisione che dolorosamente non trova nella comune lingua parlata. Un giorno si rifiuta di avere il solito colloquio con lo psichiatra che lo segue e da lì in poi comunica con lui soltanto inviandogli dei racconti. Attraverso le parole meditate e non approssimative della scrittura ricostruisce la sua vita interiore e la varietà delle parti che la compongono. Curando i propri scritti, cura se stesso e comprende le ragioni della sua malattia. Camera n. 26 è l'esplorazione del rapporto col mondo di quegli uomini che sembrano nati per transitare in solitudine da un capo all'altro della vita, persone estranee ai rituali sociali, concentrate sui propri pensieri.
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