Milano in questi mesi è un cantiere. Lavori ovunque. Interruzioni, deviazioni, code e amenità simili. La frenesia per l'Expo si è impadronita della città. Eppure c'è una Milano che deve essere riscoperta, ritrovata, che forse abita in cronache perdute e che potrebbe meglio spiegare il carattere del capoluogo lombardo. L'occasione la offre un libro di Filippo Senatore, intitolato “Cantiere Expo”, con il curioso sottotitolo “I gatti di Mozart sui tetti di Milano” (Edizioni Liberalia, pp. 160, euro 8,90). Ha due prefazioni: di Gian Antonio Stella e di Marco Travaglio. Da quest'ultima ecco un passo che riassume l'indole del libro, un ritratto a colpi di pennello di una certa Milano: “Vecchiette indigenti che non rinunciano a leggere il giornale. Cittadini indignati e politicanti sordi. Ma soprattutto personaggi maggiori e minori che si avvicendano in rigoroso disordine cronologico… Celentano Adriano denunciato nel 1962 dai vicini di casa per schiamazzi con voce e chitarra, e condannato dal pretore a 100 mila lire di multa per ‘rumori molesti'. E poi poliziotti e banditi, puttane ed étoiles della Scala, banchieri e barcaioli, soldati e poeti, giornalisti e faccendieri..”.L'autore avrebbe potuto chiamare il libro “Vedere l'Expo dalla parte delle radici”, anche perché parla di Giulio Cesare che scopre il burro a Milano (e quindi conobbe meglio il colesterolo), degli antichi mestieri o di quei ladri e rapinatori degli anni Quaranta e Cinquanta che, data l'aria che tira, sembrano gentiluomini con qualche problemuccio. Filippo Senatore non ama Radetzsky e appena può mette in luce il suo rigore: ma forse questo vecchio maresciallo, che si guadagnò i gradi combattendo Napoleone, aveva un cuore migliore di quello del macellaio Bava Beccaris, che frequentava la medesima amante di Umberto I, e che non esitò ad aprire il fuoco sulla folla. Il finale del libro è dedicato all'arrivo di Mozart a Milano. Aveva 14 anni quando vi giunse, correva il 1770. Venne invitato dall'eccellente amministrazione austriaca, dal plenipotenziario Conte di Firmian, e a Milano ebbe con “Mitridate re di Ponto” il suo vero debutto come operista. Abitò per il suo primo soggiorno nella foresteria del convento di San Marco, dove ora c'è il liceo Parini. Ma questa, come direbbe Kipling, è un'altra storia. Un giorno magari ve la racconteremo. Armando Torno Il Sole 24 Ore