C’è un dire, in questa raccolta di poesie, che non si riduce al solo atto di esprimersi con le parole, ma si prende la briga di difenderle dopo averle lasciate libere di essere – dell’onda – la risacca, il vento, la corrente. È un dire che diventa custodire, aver cura anche degli sbagli e dei fallimenti, perché a volte, ci ricorda l’autrice, è necessario saper perdere. Occasioni, tempo, direzioni. Allora si impara ad abitare luoghi che confondono arrivi e punti di partenza, e in cui il tempo è sempre e solo la misura del frattempo, di quello che succede tra gli istanti. In quello spazio edificato come casa, poi, cercare di tenere, tra ossa e arterie, un posto vuoto per accogliere chi vuole entrare e trovare rifugio. Non gabbia per cuore e respiri ma ca(s)sa per offrire loro risonanza. L’eco della scrittura travolge, non dà scampo alle pause del pensiero, che è un tutt’uno di senso e suono. Versi a tratti futuristi giocano seri con ricordi, idee e momenti: un collage che la Bellemo trasforma in mappa, voce e luce per un percorso sospeso tra estate e neve, resa e resistenza, andare e restare, quiete e affanno.