Una generazione di confine nell’Italia che cambia, cresciuta dalla televisione commerciale e al cielo terso del desktop di Windows, incontra la moda universitaria di Scienze della comunicazione. Il narratore viene fuori da questo magma e lo osserva. Il flusso del racconto incalza e s’innalza nostalgico, ironico, su uno spaccato di vita italiano. A dieci anni dall’89, dal suo muro e nel cantiere difficile degli ideali, da trovare, ricostruire.Come in un’analisi “meneghelliana” si parte dagli anni dell’adolescenza, quelli di Colpo Grosso, del Paese tranquillo che naviga nell’opulenza televisiva. Le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, segnale funesto di nubi grigie nell’orizzonte civile. Poi tangentopoli: la pandemia giudiziaria che bruscamente spazza via l’impianto politico di un Paese, dall’interno delle aule dei tribunali. Così crescono o non crescono coloro che sono nati nella metà degli anni settanta del ventesimo secolo: col tubo catodico come pedagogo maldestro, quanto efficace, capace di giungere omologato e ovunque nella provincia italiana. Scienze della comunicazione riesce ad avere le sue frotte di reclute, che l’io narrante ritrova come fratelli culturali ai test d’ingresso, nelle aule d’università: tante cavallette saltellanti, orientate dallo stesso identico impulso interno. Il futuro diventa accessibile tramite la risposta multipla: richiesta poco specifica, ma aperta a tutto, come la tv generalista. Lo scrittore di fortuna, che ormai ultratrentenne vive a nord e lontano dalla vita sperata, si avvale, per il suo viaggio a ritroso, della guida culturale e morale di un autore studiato e amato: il linguista e semiologo Jurij Michajlovič Lotman. Dal brodo primordiale delle matricole si differenziano gruppi di persone affamate di una propria weltanschauung. Perugia, uno scrigno dorato, piazzato nel ventre dell’Italia, vede fiorire un piccolo parlamentino sgangherato e di strada. Vi siedono ragazzi e ragazze lustrati dalla lacca dei vent’anni: i SimilVip, devoti al culto dell’apparizione e dei segni “fighi”, all’esclusione dei non conformi. I Cccppisti-Vintage, residuo imperfetto, nostalgico e stordito delle sinistre. E la selva popolare dei non collocati, del Gruppo Misto, di chi non sa che strada prendere. Illusione e disillusione. Un microcosmo che non scherma luci e ombre degli accadimenti della grande storia recente: il G8 di Genova, l’11 settembre 2001, la guerra in Afghanistan e Iraq. L’io narrante, nel desiderio di costruirsi e disfarsi, è cantore fuoriposto di sé stesso e degli altri personaggi, leader e gregari. Il sogno si sgonfia. Naufraga sulla crisi di un Paese che non ha saputo fare i conti con se stesso. Infine, com’è stato per Luigi Meneghello, l’autore di Libera nos a Malo e de I piccoli maestri, un interrogativo sulla propria formazione giovanile: cosa ha rappresentato Scienze della comunicazione per un’intera generazione d’Italiani?