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Ci sono parole che sorprendono il lettore perché si offrono come “impronte di uccelli sulla neve”: l’esperienza del gelo è entrata nel respiro di chi scrive, ed egli tenta di capire “come tradurre la neve” per offrirla in dono. Così, nel 2018, nei luoghi ancora sconvolti da una guerra recente, grazie al progetto europeo Refest, un gruppo scelto di scrittori e poeti ha visitato la Bosnia Erzegovina e la Croazia per raccogliere “immagini e parole sui percorsi dei rifugiati”. Ne sono nate le prose poetiche di Maria Grazia Calandrone, invernali come il disegno lucente della brina sui rami curvi…mehr

Produktbeschreibung
Ci sono parole che sorprendono il lettore perché si offrono come “impronte di uccelli sulla neve”: l’esperienza del gelo è entrata nel respiro di chi scrive, ed egli tenta di capire “come tradurre la neve” per offrirla in dono. Così, nel 2018, nei luoghi ancora sconvolti da una guerra recente, grazie al progetto europeo Refest, un gruppo scelto di scrittori e poeti ha visitato la Bosnia Erzegovina e la Croazia per raccogliere “immagini e parole sui percorsi dei rifugiati”. Ne sono nate le prose poetiche di Maria Grazia Calandrone, invernali come il disegno lucente della brina sui rami curvi delle conifere, attente a cogliere, tra Sarajevo, Derventa e Turba, “la gloria delle cose non finite”, l’alternarsi di “abbandono e decoro” dove l’odio è stato suscitato e alimentato ad arte perché fosse capace di travolgere ogni relazione umana. “Ci resta da ritrovare la vita sotto tutto questo”, fa eco il poeta Alessandro Anil: la memoria e l’assenza abitano tanto i superstiti quanto gli esiliati, accomunati dal desiderio impossibile non solo di capire “dove sia l’origine, l’errore di tutto questo”, ma anche di conquistare la “vita normale” che desiderano. “Come potrò restituire tutto questo?”, si chiede Franca Mancinelli nella prosa che completa questo viaggio sbigottito e appassionato. Ai suoi occhi, i luoghi (Kraj Donji, Dobova, Bregana...) si rivelano come un grande albero denudato dall’inverno: vi si coglie “la trama dei rami come nervature della vita”, vi si contano “le sagome scure dei nidi abbandonati”. Tre sentieri nei Balcani, dunque, nel tentativo di accogliere “una narrazione che ci guarda” e ci coinvolge inevitabilmente - e di restituirla al lettore senza alcun compiacimento, nella nudità invernale che le appartiene.