A prima vista la città portuale di Messina nel XVI secolo si presenta come un grappolo di identità. Anche gli schiavi hanno per un certo periodo la loro comunità in forma di ‘fratellanza’, affiancandosi ai gruppi di fiorentini, genovesi, catalani, greci, pisani. Ognuna di queste comunità ha le proprie organizzazioni e proprie forme di identità: sembra proprio di vedere un grappolo d'uva. È possibile vedere come gli abitanti della città mediterranea, nella prima età moderna, si confrontino con un mondo che non presenta – o non consente – la creazione di identità sociali semplici e lineari. Lo straniero a Messina può pensare di appartenere alla sua “nazione” d’origine e nello stesso tempo prendere parte al processo di autoidentificazione cittadina, a sua volta molto relazionata con il mare; egli può parlare più di una lingua; può sentirsi parte importante del proprio lignaggio familiare; può partecipare a più forme di organizzazione e di elaborazione ideologica; e talvolta può essere tentato di cambiare religione. Insomma, avrebbe potuto sperimentare tutti quei tratti indicati come “retrogradi” nel secolo scorso dagli scienziati sociali della “modernità”. In ricerche più recenti quegli stessi tratti retrogradi sono stati studiati nuovamente per verificare se costituiscono elementi di forza e di coesione sociale, caratterizzanti le società urbane e marittime del Mediterraneo. Sorge la domanda se non siano utili e vantaggiosi punti d’osservazione delle più “avanzate e moderne” società.