Così, la vita! è un romanzo ambientato tra la Genova storica di inizio ’900 e la contea dell’Essex, che narra la vicenda di una giovane nobile decaduta, Elena, costretta a fare l’istitutrice, sedotta dal fratello della sua allieva.
Flavia Steno nata Amelia Cottini Osta (Lugano, 26 giugno 1877 – Genova, dicembre 1946) è stata una giornalista e scrittrice italiana di romanzi d'appendice, molto popolare agli inizi del XX secolo. Il 27 luglio 1944, in seguito alla pubblicazione di un suo giudizio sui libri di testo per bambini, apparso nel 1943 sul Secolo XIX, in cui osteggiava il fascismo («in blocco non è eccessivo giudicarli un obbrobrio»), venne condannata a quindici anni di reclusione. Lasciò Genova, si recò a Zerba, a Moncalvo, dove trovò ricovero in un cascinale, in cui dimoravano i partigiani. Grazie all’ottenimento di una carta d’identità falsa, sotto il falso nome di Rina Fantoni, attese la caduta del regime. Il giornalista Nanni Carnesi in un articolo di memorie, rammenta di quando la riabbracciarono a Moncalvo, “in una notte di tempesta”. Tornò a scrivere per un anno al Corriere e poi al Secolo XIX, fino al dicembre del 1946. Il 4 dicembre 1946 condannò in un articolo i massacri di civili, soprattutto di donne e bimbi nei campi di Esperia da parte delle truppe marocchine, paragonandoli agli orrori dei campi di sterminio nazisti e lanciando un appello alle donne parlamentari da lei elette, per rendere pubblico il misfatto. Morì poco dopo, la notte del 19 dicembre 1946. I colleghi e le colleghe, dopo la sua scomparsa, ne diedero notizia sui giornali genovesi.
Marbett su Il lavoro nuovo scrisse: «come la Serao era imbevuta fino al midollo di questo agre e affascinante odor d’inchiostro tipografico…grandi figure l’una e l’altra, nella loro sostanziale modestia fortissime rivendicatrici, senza darsene l’aria, dei diritti dell’intelligenza femminile».
Flavia Steno nata Amelia Cottini Osta (Lugano, 26 giugno 1877 – Genova, dicembre 1946) è stata una giornalista e scrittrice italiana di romanzi d'appendice, molto popolare agli inizi del XX secolo. Il 27 luglio 1944, in seguito alla pubblicazione di un suo giudizio sui libri di testo per bambini, apparso nel 1943 sul Secolo XIX, in cui osteggiava il fascismo («in blocco non è eccessivo giudicarli un obbrobrio»), venne condannata a quindici anni di reclusione. Lasciò Genova, si recò a Zerba, a Moncalvo, dove trovò ricovero in un cascinale, in cui dimoravano i partigiani. Grazie all’ottenimento di una carta d’identità falsa, sotto il falso nome di Rina Fantoni, attese la caduta del regime. Il giornalista Nanni Carnesi in un articolo di memorie, rammenta di quando la riabbracciarono a Moncalvo, “in una notte di tempesta”. Tornò a scrivere per un anno al Corriere e poi al Secolo XIX, fino al dicembre del 1946. Il 4 dicembre 1946 condannò in un articolo i massacri di civili, soprattutto di donne e bimbi nei campi di Esperia da parte delle truppe marocchine, paragonandoli agli orrori dei campi di sterminio nazisti e lanciando un appello alle donne parlamentari da lei elette, per rendere pubblico il misfatto. Morì poco dopo, la notte del 19 dicembre 1946. I colleghi e le colleghe, dopo la sua scomparsa, ne diedero notizia sui giornali genovesi.
Marbett su Il lavoro nuovo scrisse: «come la Serao era imbevuta fino al midollo di questo agre e affascinante odor d’inchiostro tipografico…grandi figure l’una e l’altra, nella loro sostanziale modestia fortissime rivendicatrici, senza darsene l’aria, dei diritti dell’intelligenza femminile».