«Un disegno è come un rebus. Fare dei rebus è questo: scrivere (...). Rebus è una parola che ha origini recenti, risale al Medioevo e gioca con l’equivoco (...). Ed è a questo equivoco che occorre far ritorno, se si vuole sapere cos’è il disegno di un bambino, se si vuole essere in grado di leggerne qualcosa, invece di accecarsi nel vedere solo ciò che è disegnato (…)».Questa osservazione, fondamentale, è il filo conduttore degli interventi qui raccolti; alla domanda: come si interpreta il disegno del bambino? – la risposta è che non si interpreta (correndo l’inevitabile rischio di esporsi all’arbitrio), ma si legge proprio come la scrittura di un rebus, la cui chiave di decifrazione non può essere fornita che dalle parole del bambino stesso sui suoi disegni. Abbiamo così la possibilità di orientarci nella ricerca dello sguardo del bambino, nascosto dietro quello che il suo disegno ci dà da vedere.