Forse se Charles Bukowski fosse ancora nei paraggi, magari comprerebbe una confezione da sei di birre grandi e inviterebbe l’Autore nel suo appartamento di San Pedro per chiedergli se ha preso parte veramente alle scorribande dei suoi personaggi, se anche Matteo Marchiotti, come lui, ha spezzettato la sua anima donandola ai protagonisti delle sue storie fuori di testa. Shosetsu, l’arte orientale di mescolare autobiografia con l’immaginazione, fatta propria dal compianto John Fante e da Charles Chinaski Bukowski. Matteo Marchiotti raschia il marciume dalle fughe del mondo e poi ne fa un quadro, una manciata di storie in bilico tra l’assurdo e l’osceno, tra il disgustoso e il fin troppo reale, spiattellate sulla carta come mota lanciata con una mano. Un alcolista che deve fare i conti con alcuni mostri venuti da chissà dove e chissà come giunti fino a casa sua, i deliri di un suicida, la follia di un militare, un gruppo di ragazzi fuori dal comune. Storie raccontate nella semplicità della vita di ogni giorno in cui si impastano realtà che non tutti vorrebbero conoscere, storie che una volta lette ti fanno venire voglia di spalancare la finestra per far entrare un po’ d’aria. Cosa facevo quando ti lasciavo fuori non è un romanzo e forse non è neppure una silloge di racconti, piuttosto uno specchio in frantumi e raccogliendone i pezzi si può correre il rischio di tagliarsi…