Se per un giorno lasciassimo le incantevoli coste sarde, per avventurarci alla scoperta dell’interno dell’isola, Nuoro e la Barbagia dovrebbero essere poste in cima alla lista dei luoghi da visitare.In particolare la città capoluogo ci permetterebbe di fare un vero e proprio viaggio nel tempo, trasportandoci, come d’incanto, alla fine dell’Ottocento. Basterebbe, allora, fare un giro tra le vie del vecchio quartiere di Santu Predu per cercare quella che oggi viene chiamata Via Grazia Deledda.In questa strada, al numero civico 42, si trova la casa in cui la scrittrice venne alla luce e dove trascorse i primi trent'anni della sua vita.Infatti, Grazia Maria Cosima Damiana Deledda (questo il suo nome completo) nacque a Nuoro il 27 settembre 1871 da Giovanni Antonio Deledda e Francesca Cambosu: lui commerciante per dovere e cantadore in lingua sarda per passione; lei mere de domu e madre di sette figli che non ebbero una facile esistenza.Trasformata in museo gestito dall'Istituto Regionale Etnografico della Sardegna, la casa natale di Grazia Cosima fa da scenario a questo romanzo autobiografico, cui la scrittrice stava ancora lavorando al momento della sua morte, avvenuta a Roma il 15 agosto 1936.Entrare nella sua casa significa vedere coi propri occhi e sentire col proprio naso quello che leggendo le pagine di questo romanzo si può solo immaginare.“La cucina era – scrive la Deledda – come in tutte le case ancora patriarcali, l’ambiente più abitato, più tiepido di vita e d’intimità. C’era il camino, ma anche un focolare centrale, segnato da quattro liste di pietra: e sopra, ad altezza d’uomo, attaccato con quattro corde di pelo, alle grosse travi del soffitto di canne annerite dal fumo, un graticcio di un metro quadrato circa, sul quale stavano quasi sempre, esposte al fumo che le induriva, piccole forme di cacio pecorino, delle quali l’odore si spandeva tutto intorno”.Mentre nella dispensa erano custoditi “mucchi di frumento, di orzo, di mandorle, di patate” che “occupavano gli angoli, mentre una tavola lunga era sovraccarica di lardo e di salumi, e intorno i cestini di asfodelo pieni di fave, fagioli, lenticchie e ceci, facevano corte agli orci di strutto, di conserve, di pomidori secchi e salati”, nonché “alcuni grappoli d’uva e di pere raggrinzite che ancora pendevano da una delle travi di sostegno del soffitto”.Oggi questi ambienti sono ancora così. In cucina ci sono le forme di pecorino poste a stagionare sul cannitzu, mentre nella dispensa non mancano i prosciutti e i filari di uva, che trasformano la casa in un regno di odori e di sapori non troppo dissimile da quello che la giovane respirò nella prima fase della sua vita in Sardegna; in un regno di memorie e di ricordi, anch'esso descritto in maniera eccellente nelle pagine di questo romanzo pubblicato per la prima volta col titolo “Cosima quasi Grazia” sulle pagine della “Nuova Antologia” nel settembre del 1936, e che l’anno seguente venne edito in volume dalla casa editrice Treves di Milano col titolo “Cosima”.