Questo libro è una seconda appendice del libro più voluminoso dal titolo “La chiusura del ciclo del carbonio antropico”. L’Italia non è pronta per essere salvata, ma l’industria Italiana potrebbe salvare il mondo, facendo profitti, creando lavoro; riservando a una fase successiva l’intervento in patria. Dovrebbe esportare nel mondo “la Filiera dell’Energia Protettiva dell’Ambiente”. Il Mondo, non la classe dirigente che lo governa, sta aspettando queste invenzioni basate su tecnologie già acquisite, nuove integrazioni e soprattutto, sinergie tra settori industriali che oggi non collaborano tra loro. L’autore addebita gli attuali mali della società moderna alle applicazioni sbagliate delle scienze e delle tecnologie, nei centri urbani, stabilimenti industriali, centrali termoelettriche, depuratori, digestori, inceneritori. Almeno, questi insediamenti dovrebbero essere progettati comprendendo “la chiusura del ciclo del carbonio antropico”, oppure, affiancati a infrastrutture che lo consentano; affinché nulla vada sprecato, nell’interesse dei rendimenti, dell’ambiente e dell’occupazione. La politica e l’economia dovrebbero poggiarsi su scelte tecniche globali, non anticiparle. Con le invenzioni italiane, relative alla “filiera dell’energia protettiva dell’ambiente” le città saranno progettate per catturare e neutralizzare lo Smog e il CO2. Le ciminiere industriali non espelleranno fumi, ma avranno una funzione di raffreddamento e depurazione. I fumi usciranno, raffreddati, da serre calcaree meccanizzate. Le tecnologie, industriali, ambientali, energetiche, cresciute separatamente, entreranno in una sequenza logica, oggi, inesistente. Non basta a salvare il mondo, l’energia pulita e nemmeno la riduzione del CO2. Servirà anche, e soprattutto, trasportare grandi quantità di carbonati verso i laghi e i mari per combattere l’acidificazione e lo scioglimento dei ghiacciai, le piogge acide; neutralizzare nitrati e pesticidi, produrre grandi quantità di compost per risanare i terreni agricoli; desalinizzare le acque costiere per usarle in agricoltura; prevenire disastri alluvionali e siccità liberando gli alvei e accumulando le acque in stagni biologici facoltativi verticali, che depurando l’acqua e l’aria contribuiranno a produrre energia pulita. Molti piccioni possono essere presi con una progettazione, al di sopra delle parti, che non può essere fraintesa, essendo riscontrabile da monitoraggi, analisi delle acque e dell’aria scaricate dagli impianti. Per le imprese italiane e europee, che ancora credono nel lavoro, delle costruzioni edili, delle tecnologie ambientali, della meccanica, dei trasporti interni, dell’automazione, la prima cosa da fare sarebbe quella di associarsi per estendere, all’estero, almeno gli ultimi quattro, dei dieci brevetti, che l’autore, presenta nel libro. Solo questi sono ancora estensibili. Per fortuna, sono quelli più importanti. Sono pochissimi, nel mondo, i brevetti che vale la pena di internazionalizzare. Questi sono tra quelli. C’è poco tempo per poterlo fare, ma l’autore e inventore non lo farà da solo, come non lo ha fatto per i precedenti, uccisi dai silenzi di una classe dirigente impreparata ad affrontate problemi tecnologici globali. Non toccava a lui porre le prime pietre, ma si è assunta la responsabilità di farlo, visto che, chi doveva, non solo non lo ha fatto, ma non ha voluto nemmeno raccogliere i frutti dall’albero. Ma occorre posare altre pietre su quelle poste. Non bastano le parole per riprendere a crescere. Se, in questo paese non interviene urgentemente qualcun altro, non importa, se addetto ai lavori o supplente, per internazionalizzare almeno i brevetti residui, l’Italia non crescerà in questi settori importantissimi, dove la prima pietra è fondamentale. Se non lo farà, dovrà combattere, con armi spuntate, una guerra persa in partenza sul manifatturiero. Quello che conta sono i fatti e se ne vedono pochi anche da parte di “Confindustria”. L’inventore, ancora una volta, si limiterà a pubblicare i propri progetti e aspettare che, almeno in Europa o in Paesi più lontani, li comprendano, spiacente che non siano serviti a far crescere l’Italia. Probabilmente, ritorneranno in Patria tra diversi anni e li pagheremo cari, come eravamo pronti a pagare il “nucleare francese”, se non ci avesse salvato lo tsunami giapponese. Nessuno si ricorderà che questi erano progetti italiani, e che potevamo essere noi gli esportatori. Nel Mondo, mancano all’appello del lavoro proprio le attività, dirette e indotte, legate alla chiusura del ciclo del carbonio antropico, che dovevano crescere parallelamente alla crescita dell’industria, dell’agricoltura e dei centri urbani. Queste opere, non possono svilupparsi senza il consenso dei tecnici governativi. Ma è altrettanto vero che questi tecnici non si formeranno con le prossime generazioni. Le università non insegnano né la depurazione globale, né l’energia che protegge l’ambiente. Gli italiani, per crescere, non possono aspettare tanto. Le imprese, che pure non vedono le sinergie possibili per colpa delle specializzazioni spinte in singole direzioni, se vogliono sopravvivere, in attesa di comprendere, devono associarsi e mettere le basi per esportare impianti globali all’estero, sperando di arrivare tra i primi, solo grazie alle invenzioni dell’autore. C’era tutto il tempo per comprenderle, essendo queste nate ON LINE, ma nessuno ha voluto farlo. Adesso è tempo di agire, almeno per fermare il tempo, azzerare il cronometro, ragionare, e chiedersi: In questo momento quali sono i brevetti internazionali italiani o europei migliori della filiera energetica, depurativa e protettiva dell’ambiente? Non è la prima, né l’ultima, che il lavoro italiano sia sottovalutato senza apportare vantaggi in patria, ma questa volta non possiamo permettercelo. Se ci sono, scendano in campo le riserve, prima che i titolari ci facciano perdere anche questa partita.