Mentre Cristina si chinava a cogliere un ramoscello di basilico odoroso, da mettere come aroma nella salsa di pomodoro che bolliva in cucina, udì un sibilo breve e dolce. Ella levò il capo, ma non vide nulla; il sole batteva sulla terrazza dove si allineavano, nei vasi di creta, le rose di ogni mese, fiorite, i peperoncini rossi, i garofani schiattoni, il prezzemolo e i gelsomini bianchi; il sole l'abbagliava. Ma di nuovo un sibilo dolce attraversò quel silenzio meridiano; ella si rialzò vivamente, fece solecchio con la mano e si guardò intorno. Il sole la illuminava tutta, nel suo vestito di percallo bigiognolo a fiorellini azzurri, molto stretto alla cintura, col grembiule di merino nero, che cingeva la persona: a un occhiello del vestito, sul petto, erano passati due gelsomini bianchi, dal gambo sottile; i folti capelli castani, divisi in due treccie, raccolti sulla nuca, strettamente, lasciavano libera una piccola fronte bianca. - Chi sarà? - pensava ella, aguzzando gli occhi. Infine qualche cosa di bianco che si agitava, attirò la sua attenzione. Dietro la casa dei Marcorelli, a una piccola finestra di casa Fiorillo, una pezzuola si agitava, mossa da una mano. - Ah! è Peppino Fiorillo - mormorò Cristina con un piccolo moto di disdegno. E non vi badò più. Sul parapetto della terrazza sei tovaglioli bagnati si asciugavano al sole, mantenuti fermi contro il lieve ponente da pezzi di mattone. Ella, prima di rientrare, assoggettò meglio i tovaglioli sotto i mattoni, perché il vento non li portasse via. Ma una curiosità la prese di sapere con chi l'aveva quello stravagante 1 di Peppino Fiorillo: forse con Caterina Marcorelli, ma le finestre di Caterina erano sbarrate, da Marcorelli avevano già pranzato e dormivano tutti, nell'ora lunga e affannosa della siesta meridionale. Si piegò sul parapetto a vedere se la maestrina, la Ottilia Orrigoni, una piemontese, fosse dietro i vetri del suo balcone a correggere i còmpiti delle alunne: non vi era. Niente, attorno non si vedeva nessuno. Levando gli occhi, vide che Peppino Fiorillo faceva cenno a lei, ritto innanzi alla finestra. Nella nebbia Autrice: Beatrice Speraz (con lo pseudonimo di Bruno Sperani) Le riscoperte n° 96 Data di pubblicazione: 13 maggio 10 Febbraio 1880. Sono partiti, ed io... Oh! io finalmente ho un'ora di pace dopo il continuo da fare di questi giorni. Nell'abbracciarmi mio figlio mi ha detto: E tu mamma, riposati che ne hai bisogno!... Raggiante era, lui! Ho dovuto ritornare con la memoria ai tempi della sua fanciullezza, allorché lo portavo con me in vacanza, per trovare un riscontro alla gioia che gl'illuminava il volto questa mattina. E ancora, nel confronto, la gioia del fanciullo non mi pareva che una pallida immagine della suprema felicità dell'uomo. Povere madri! Quando noi diamo tutto, che poca cosa riceviamo in ricambio! Egli l'adora la sua Sofia. E tutto quello che io ho fatto per allontanarlo da lei, non ha servito che a rendergliela più cara. E lei... quella bionda ardente, quella creatura dagli istinti così diversi dai nostri, dimenticherà essa che io ho voluto rapirle la sua felicità?... Avrà la forza di vincere il suo rancore di donna amante, come io ho vinto le mie ripugnanze?... Sia pure che l'abbia: il solo ricordo delle mie ostilità metterà per tutta la vita un senso di freddo nei rapporti di mio figlio con me. Ci sarà sempre come un intoppo dove una volta era la perfetta omogeneità. E quanto più lo vedrò felice tanto più mi sentirò umiliata davanti a lui per avergli contrastata e ritardata questa felicità. Il destino è inesorabile. Pazienza. Purché egli sia veramente felice. Il mio più grande desiderio fu sempre di sacrificarmi a lui, di dare la mia vita per il bene suo. Ma non la vita egli mi domanda: non la vita! Sarebbe troppo poco! Egli mi chiede il sacrificio del mio amore esclusivo, di quel culto appassionato onde l'ho circondato fin dall'infanzia: il sacrificio della nostra santa intimità. Le novelle della nonna Autrice: Emma Perodi Le riscoperte n° 97 Data di pubblicazione: 20 maggio Dalla prima novella: Tutte le campane di Poppi e della valle suonavano a festa in quella notte chiamando i fedeli alla messa di Natale, e pareva che a quell'invito rispondessero le campane di Soci, di Bibbiena, di Maggiona e di tutti i paesi e i castelli eretti sui monti brulli, che s'inalzavano fino all'Eremo di Camaldoli e al Picco della Verna, tanto era lo scampanìo che si udiva da ogni lato. In una casa di Farneta, piccolo borgo sulla via di Camaldoli, la famiglia del contadino Marcucci era tutta riunita sotto l'ampia cappa del camino basso, che sporgeva fin quasi a metà della stanza. Il camino, nel quale crepitava un bel ceppo di faggio, era grande davvero, altrimenti non avrebbe potuto contener tanta gente, perché i Marcucci erano un subisso! Il vecchio capoccia era morto, la moglie gli sopravviveva, e intorno a lei erano aggruppati i cinque figliuoli maschi, i quali avevano tutti moglie, meno l'ultimo, Cecco, che era tornato da poco dal reggimento, e aveva sempre addosso la tunica d'artiglieria. I quattro fratelli maggiori si ritrovavano di già la bella caterva di quindici figliuoli, fra grandi e piccini, così che fra la vecchia Regina, le nuore, i figliuoli e quei quindici nipoti, facevano venticinque persone. È vero che il podere era grande, ma se i ragazzi maggiori non si fossero ingegnati ad accompagnare col trapelo le carrozze che andavano a Camaldoli, facendo in su e in giù l'erta via tre o quattro volte il giorno, la famiglia Marcucci non avrebbe attecchito il desinare con la cena. La casa nel vicolo Autrice: Maria Messina Le riscoperte n° 98 Data di pubblicazione: 27 maggio Nicolina cuciva sul balcone, affrettandosi a dar gli ultimi punti nella smorta luce del crepuscolo. La vista che offriva l'alto balcone era chiusa, quasi soffocata, fra il vicoletto, che a quell'ora pareva fondo e cupo come un pozzo vuoto, e la gran distesa di tetti rossicci e borraccini su cui gravava un cielo basso e scolorato. Nicolina cuciva in fretta, senza alzare gli occhi: sentiva, come se la respirasse con l'aria, la monotonia del limitato paesaggio. Senza volerlo, indugiava a pensare alla casa di Sant'Agata; rivedeva il balconcino di ferro arrugginito, spalancato sui campi, davanti al cielo libero che pareva mescolare le sue nubi col mare, lontano lontano. Era quella, per Nicolina, l'ora più riposata, benché la più malinconica, della giornata. Tutte le faccende erano sbrigate. Nella casa, come nell'aria, come dentro l'anima, si faceva una sosta, un accorato silenzio. Allora pareva che i pensieri, i rimpianti, le speranze, si facessero innanzi circonfusi della stessa luce incerta che rischiarava il cielo. E nessuno interrompeva i vaghi, incompiuti soliloqui.
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