Daisy Miller, scritto nel 1878, è considerato uno dei capolavori dello scrittore americano Henry James. Ritratto intenso di una giovane americana che, nella buona società europea (la trama si dipana dalla Svizzera alla stupenda e decadente Roma dei papi), viene giudicata troppo libera (se ne va a passeggio per Roma dopo il tramonto, sola con un giovanotto che non è nemmeno il suo fidanzato...) e quindi imperdonabilmente poco seria, e messa al bando; solo dopo la sua morte improvvisa sapremo, insieme al protagonista narratore, che Daisy era assolutamente innocente, non una civetta o peggio, ma semplicemente una ragazza libera, indipendente, spontanea e disinteressata, amante del passeggiare e vagabondare, oppressa dai lacci delle convenzioni sociali che imprigionavano le donne. Eroina femminista ante litteram, Daisy viene posta, dalla narrazione del co-protagonista Winterbourne, in una situazione culturale considerata "naturale" nella cultura patriarcale, fino all'invisibilità: la donna, priva di voce e di pensiero, oggetto d'interpretazione e di giudizio; l'uomo, detentore dell'autorità del punto di vista, titolato a interpretare e giudicare.
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