Luigi Sturzo non avrebbe mai pensato di paragonarsi a Dante Alighieri. L'umiltà e il senso del limite, propri del suo carattere, lo avrebbero anche indotto a dissuadere chiunque avesse osato un tale confronto o avesse soltanto espresso per questo un semplice complimento. Eppure esistono parecchi aspetti in comune tra i due. E, rimanendo saldo il principio che tra i grandi non si fanno paragoni, è possibile, riferendoci all'uno e all'altro, parlare di vite parallele. Ci si trova di fronte a due personalità poliedriche che, distanti nel tempo, rivelano sentimenti e interessi affini e finiscono per essere coinvolte in vicende molto simili. Sturzo, anche se restio a qualsiasi paragone con Dante, tuttavia se lo sente vicino, si richiama spesso a lui nei suoi scritti, dimostra di conoscerne la vita e le opere, cita qua e là versi e simbologie della Divina Commedia. E come Dante è poeta, lui è teologo, pensatore politico, combattente per la libertà, sostenitore della laicità della politica e autore di un poema drammatico, Il ciclo della creazione (1932), opera di grande impegno artistico. Egli, così come «il ghibellin fuggiasco», è costretto a trascorrere gran parte della sua vita in esilio, che provvidenzialmente si trasforma in un uomo di meditazione e di proficua produzione. In uno dei suoi più significativi libri, scritto durante il periodo americano, meditando sul bene derivante spesso anche dal male, si chiede: «E quanto non deve Dante al suo esilio per la Divina Commedia?» (La vera vita - Sociologia del soprannaturale [1943], Zanichelli, Bologna, 1978, p. 137). Angelo Consolo, in questo saggio, tenta un accostamento del sociologo siciliano al poeta fiorentino, prediligendo proprio il duro e lungo periodo d'esilio vissuto con sofferenza da entrambi, lontani dalla Patria, dagli affetti familiari e dagli amici. La ricerca, condotta con metodo filologico e storico, raggiunge felicemente gli obiettivi preannunciati nel titolo. L'autore - partendo dalla premessa che «la lettura di Dante, durante l'esperienza dell'esilio, sia stata di conforto per il sacerdote calatino» - , analizza una lettera inviata da Sturzo agli amici durante il suo esilio a Londra e vi scorge una similitudine dantesca rilevata dal Canto VI del Purgatorio. L'approfondimento prosegue con la comparazione tra le tre male bestie denunciate spesso da Sturzo (lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico) e le tre simboliche male bestie (la lonza, il leone e la lupa) incontrate da Dante nella selva oscura (I Canto dell'Inferno). L'analisi, da una pagina all'altra, si fa sempre più stimolante e suggestiva e, nel contempo, consente una migliore e maggiore conoscenza di Luigi Sturzo. Evitiamo di entrare nel dettaglio per non togliere al lettore le piacevoli sorprese riservategli dall'autore. Eugenio Guccione
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