"Dio conceda che un po’ del mio affetto per lui si trasmetta anche a coloro che leggeranno queste pagine".Pochi anni dopo la firma dei Patti Lateranensi, il convertito Papini dà alle stampe un libro sul più illustre dei fiorentini, «più moderno di tanti moderni, più vivo di tanti morti che si credon vivi». A settecento anni dalla morte, Papini trova che le aspirazioni e le speranze di Dante sono le medesime dei cattolici moderni del ventesimo secolo: una Chiesa non implicata nella politica e negli affari, ma impegnata ad insegnare «agli uomini ad essere perfetti sì da meritare la pace sulla terra e la beatitudine in cielo». Chiesa e Impero debbono cooperare per «il trionfo della pace».Negli anni in cui Papini scrive il secondo conflitto mondiale non era all’orizzonte, ma il timore per la pace in bilico era di certo sentito. Ai suoi occhi di convertito ed ex interventista la pace può essere garantita soltanto dalla restaurazione di un Impero, non nel senso dantesco, ma nel senso di un «organismo molteplice, retto da una legge unica, da una medesima autorità»: tale impero dovrebbe mettere fine alle mai sopite rivalità fra gli Stati. Nel 1933 Papini, sulle orme del suo grande concittadino eletto a guida spiritale del proprio secolo, auspica l’unità politica almeno dell’Europa. Quattro anni dopo, nel 1937, si farà promotore in un celebre discorso per l’appunto di un’Europa unita.