Apro i cassetti del settimanile, uno alla volta. Sollevo camicie incellofanate, messe via per l’inverno, sposto qualche felpa. Sto cercando dei pantaloni. Ed è proprio lì che succede.
Scorgo un quaderno, di quelli che usavo quand’ero bambino, la copertina a righe arancioni e fucsia. Sul cartiglio sta scritto: “A Idra da Anna (Luciana), Natale 1987”. Non è ciò che cerco. Sto per chiudere il cassetto, ho fretta di trovare quei pantaloni. Poi, però, mi blocco. Allungo la mano, prendo le carte antiche, inizio a sfogliarle.
Chi sono Idra e Luciana? La prima è mia zia. L’ho sempre chiamata così, anche se è una prozia. Porta un nome strano, insolito. I suoi fratelli e le sue sorelle non sono da meno: Desdemona, Argenide, Olimpia, Orfea, Otello, Iago. Tutto merito del bisnonno Alvise.
Luciana è un’amica della zia. Una di quelle amiche intime e sincere, rare da trovare. Un legame solido e profondo il loro, durato più di quarant’anni. Purtroppo, so poco di lei. So che aveva sposato un uomo benestante, che amava le collane e i vestiti alla moda.
Ho un ricordo antichissimo, sbiadito, quasi del tutto scomparso, di una visita a casa sua. Accompagnavo la zia, avrò avuto sei o sette anni. Mi par di vedere un salotto enorme, i mobili in noce e il pavimento luccicante, il viso rotondo ingentilito dal sorriso, i grandi occhiali scuri, i braccialetti tintinnanti che le fasciavano i polsi. Ma è una pagina gualcita, strappata, irrimediabilmente perduta.
Quelle del quaderno, al contrario, sembrano appena scritte. La mano è ferma, il blu dell’inchiostro ancora vivo. Eppure, sono passati trent’anni. Le cose sono cambiate da quel lontano 1987. Una su tutte. Loro non ci sono più. All’epoca la zia aveva settant’anni, Luciana qualcuno in meno. Idra era tormentata dai dolori. Ma non si dava mai per vinta. Aveva una forza segreta che le permetteva di andare avanti. L’amica Luciana viveva la stessa condizione. E il quaderno ne offre piena testimonianza.
Sono fogli fitti di pensieri, esortazioni, aneddoti. Compaiono anche brevi poesie, delle preghiere, qualche brano tratto dalla Bibbia. Ne vien fuori un ritratto. Ben definito, a tutto tondo. Il ritratto di un’anima luminosa, pura. Di un’amicizia che supera i confini spaziali e temporali per diventare modello, punto di riferimento, esempio da seguire. È la fotografia di una sensibilità religiosa ormai tramontata, di un amore per il sacro fondato sulle piccole cose, sulla quotidianità dei gesti e dei rapporti. Il miracolo di un nuovo fiore, il battito d’ali di una farfalla bastano per dar lode al creato e al Creatore. Talmente distante quel mondo dal nostro da risultare spesso incomprensibile.
Ho scelto di pubblicare le note scritte da Luciana per il loro altissimo valore spirituale, per quel senso di traboccante ricchezza che impregna ogni parola, per il bene che mi hanno fatto mentre le leggevo e le meditavo. Le ho soltanto copiate, senza aggiungere o togliere alcunché. Non importa se non verranno capite fino in fondo, se non si saprà trarre da esse tutta la luce e la forza che racchiudono. È un rischio che dovevo correre. Sarebbe stato un peccato mortale lasciarle nascoste, sepolte nell’oscurità di quel cassetto. Vuol essere anche un regalo, l’ultimo, che faccio a mia zia.
Scorgo un quaderno, di quelli che usavo quand’ero bambino, la copertina a righe arancioni e fucsia. Sul cartiglio sta scritto: “A Idra da Anna (Luciana), Natale 1987”. Non è ciò che cerco. Sto per chiudere il cassetto, ho fretta di trovare quei pantaloni. Poi, però, mi blocco. Allungo la mano, prendo le carte antiche, inizio a sfogliarle.
Chi sono Idra e Luciana? La prima è mia zia. L’ho sempre chiamata così, anche se è una prozia. Porta un nome strano, insolito. I suoi fratelli e le sue sorelle non sono da meno: Desdemona, Argenide, Olimpia, Orfea, Otello, Iago. Tutto merito del bisnonno Alvise.
Luciana è un’amica della zia. Una di quelle amiche intime e sincere, rare da trovare. Un legame solido e profondo il loro, durato più di quarant’anni. Purtroppo, so poco di lei. So che aveva sposato un uomo benestante, che amava le collane e i vestiti alla moda.
Ho un ricordo antichissimo, sbiadito, quasi del tutto scomparso, di una visita a casa sua. Accompagnavo la zia, avrò avuto sei o sette anni. Mi par di vedere un salotto enorme, i mobili in noce e il pavimento luccicante, il viso rotondo ingentilito dal sorriso, i grandi occhiali scuri, i braccialetti tintinnanti che le fasciavano i polsi. Ma è una pagina gualcita, strappata, irrimediabilmente perduta.
Quelle del quaderno, al contrario, sembrano appena scritte. La mano è ferma, il blu dell’inchiostro ancora vivo. Eppure, sono passati trent’anni. Le cose sono cambiate da quel lontano 1987. Una su tutte. Loro non ci sono più. All’epoca la zia aveva settant’anni, Luciana qualcuno in meno. Idra era tormentata dai dolori. Ma non si dava mai per vinta. Aveva una forza segreta che le permetteva di andare avanti. L’amica Luciana viveva la stessa condizione. E il quaderno ne offre piena testimonianza.
Sono fogli fitti di pensieri, esortazioni, aneddoti. Compaiono anche brevi poesie, delle preghiere, qualche brano tratto dalla Bibbia. Ne vien fuori un ritratto. Ben definito, a tutto tondo. Il ritratto di un’anima luminosa, pura. Di un’amicizia che supera i confini spaziali e temporali per diventare modello, punto di riferimento, esempio da seguire. È la fotografia di una sensibilità religiosa ormai tramontata, di un amore per il sacro fondato sulle piccole cose, sulla quotidianità dei gesti e dei rapporti. Il miracolo di un nuovo fiore, il battito d’ali di una farfalla bastano per dar lode al creato e al Creatore. Talmente distante quel mondo dal nostro da risultare spesso incomprensibile.
Ho scelto di pubblicare le note scritte da Luciana per il loro altissimo valore spirituale, per quel senso di traboccante ricchezza che impregna ogni parola, per il bene che mi hanno fatto mentre le leggevo e le meditavo. Le ho soltanto copiate, senza aggiungere o togliere alcunché. Non importa se non verranno capite fino in fondo, se non si saprà trarre da esse tutta la luce e la forza che racchiudono. È un rischio che dovevo correre. Sarebbe stato un peccato mortale lasciarle nascoste, sepolte nell’oscurità di quel cassetto. Vuol essere anche un regalo, l’ultimo, che faccio a mia zia.