In uscita a cavallo tra 2015 e 2016, proprio mentre «Time» incoronava frau Merkel quale persona dell’anno Valori vi porta col dossier di copertina nel retrobottega della leadership economica della Germania in Europa. Senza neanche troppo ricordare il recente scandalo Volkswagen, oltre al Pil che sale e alla disoccupazione in discesa, la Ue dovrebbe infatti approfondire altri dati meno rassicuranti che arrivano dalla Germania: stipendi bloccati, infrastrutture che invecchiano, consumi che ristagnano. E se la locomotiva d’Europa si tiene sui binari pompando carbone nel motore delle esportazioni, nonostante le critiche aspre di un mercato europeo che patisce da anni questa politica, si sente lo scricchiolio di 90 miliardi di investimenti, pubblici e privati venuti meno, dei costi dell’austerity tanto voluta, degli istituti di credito pieni di titoli tossici: dalle banche locali a Deutsche Bank. Mentre la diffusa retorica antitedesca rischia di danneggiare proprio il compito di guida europea che comunque le viene affidato (ancora).E mentre da un’inchiesta statunitense è nato lo scossone che sta mettendo in crisi l’auto tedesca, nella sezione finanza etica scoprirete che gli americani dovrebbero intanto guardare ai rischi finanziari che si nascondono dietro le rate di acquisto delle proprie automobili: lo spettro del meccanismo che travolse case e risparmi attraverso i mutui subprimes potrebbe riprodursi – più in piccolo – grazie alle macchine. Un rischio per un mercato che vale “solo” 194 miliardi di dollari (e altri 20 in Europa), ma da non trascurare. E che non scoraggia la passione per i prodotti finanziari anche da parte di imprese medio piccole, non quotate in Borsa e a caccia di capitali: anch’esse possono emettere obbligazioni, i cosiddetti minibond. Ma se manca persino una normativa che obblighi l’esposizione del business plan, come siamo sicuri che questi titoli di debito servano a finanziare lo sviluppo?Noi intanto siamo certi che per essere felici non bastano i capitali e – forse – bisogna patire un po’ di freddo: ve lo racconta la nostra mappa centrale basata sulla classifica del World Happiness Index, in cui i primi otto Paesi sono tutti oltre il 50° parallelo.Una felicità che spesso si accompagna alla ricchezza degli ecosistemi. Tant’è che in economia solidale leggerete di un gruppo di atenei italiani che ha studiato un modo per attribuire valore alla biodiversità e ai vantaggi che produce, così da ricompensare i territori da parte di chi ne gode. L’idea potrebbe entrare in una legge in approvazione alla Camera sui “sistemi di remunerazione dei servizi ambientali”, ma a molti produce un certo mal di pancia, perché pare l’anticamera della monetizzazione della natura. Il consiglio (di Greenpeace) è allora di mangiarci sopra una mela – che notoriamente toglie il medico di torno –, purché sia bio: da un’analisi della ong ambientalista sui pesticidi nelle produzioni europee si scoprono infatti sostanze chimiche in 8 campioni di mele su 10. E solo l’agricoltura biologica si salva. Di più. Grazie a essa e a un approccio che unisce la finanza etica e lo spirito dei più noti Gas, c’è chi si è “inventato” modi d’investimento ecocompatibili e locali: vi presentiamo i Gruppi d’Acquisto Terreni.L’ultima sezione, internazionale, porta bad news – cattive notizie – innanzitutto per i sudditi di Sua Maestà: tre dei cinque indicatori di sviluppo (lavoro, ambiente e uguaglianza economica) analizzati dall’istituto di ricerca NEF dicono che il Regno Unito non scoppia di salute. E, anzi, mettono sotto accusa le scelte del governo e gli interessi della City finanziaria. Come dire che la grande quantità di case e auto costose forse non aiuta il benessere generale. E nemmeno il Pil ne offre più una fotografia attendibile: la Francia, ad esempio, ha pubblicato il primo rapporto che valuta l’economia transalpina sulla base di 10 indicatori alternativi, misurando anche parametri come la soddisfazione di vita, le disuguaglianze e l’impronta ecologica. Ve lo raccontiamo punto per punto, senza dimenticare di guardare al disastro del Nepal, strozzato da sei mesi di embargo unilaterale dell’India, suo unico fornitore di carburante. Risultato: greggio alle stelle al mercato nero e settore turistico allo stremo. Nel silenzio quasi totale dei media.