La tragedia Baccanti è, assieme a Ifigenia in Aulide e Alcmeone a Corinto, una delle ultime tragedie di Euripide, il più moderno dei tre massimi tragediografi del V sec. a.C. Che Euripide fosse un poeta audace, innovatore e non sempre capito dai contemporanei, lo conferma anche un pungente critico letterario del suo tempo, il poeta comico Aristofane. Questi, nella trama delle Rane (commedia messa in scena alle Feste Lenee e poi al quarto giorno delle Grandi Dionisie del 405 a.C.) lo condanna a rimanere nell’Ade proprio a causa del suo modo di pensare che stravolgeva i valori tradizionali, del suo linguaggio poco aulico e più vicino alla quotidianità rispetto ai colleghi Eschilo e Sofocle, e non ultimo per le sue virtuosistiche sperimentazioni musicali, secondo Aristofane paragonabili allo strano canto di rane-cigno (animali inesistenti nella realtà)!
Euripide compose le Baccanti probabilmente nel 407 a.C., dopo aver lasciato Atene, quando ormai viveva presso la corte del re Archelao di Macedonia (dove la leggenda racconta che morì malamente, sbranato da cani). La tragedia andò in scena ad Atene, postuma, probabilmente nella primavera del 406 o del 405 a.C. È espressione della sua piena maturità: per questo, oltre che per i suoi particolarissimi contenuti, possiamo considerarla una sorta di testamento spirituale del poeta. Ne è protagonista Dioniso, dio del vino e del teatro, che decide di recarsi nella città in cui era nata e cresciuta sua madre Semele, figlia del fondatore Cadmo. Suo scopo era di affermare in quella stessa città – in cui lo si era negato – che sua madre lo aveva generato da Zeus, pretendendo conseguentemente un culto.
Il sospetto è che la trama possa essere letta a diversi livelli di profondità e che rappresenti una sorta di testamento spirituale e artistico del poeta, pieno di messaggi di validità universale di natura etica, religiosa e politica ancora in grado di raggiungerci.
Euripide compose le Baccanti probabilmente nel 407 a.C., dopo aver lasciato Atene, quando ormai viveva presso la corte del re Archelao di Macedonia (dove la leggenda racconta che morì malamente, sbranato da cani). La tragedia andò in scena ad Atene, postuma, probabilmente nella primavera del 406 o del 405 a.C. È espressione della sua piena maturità: per questo, oltre che per i suoi particolarissimi contenuti, possiamo considerarla una sorta di testamento spirituale del poeta. Ne è protagonista Dioniso, dio del vino e del teatro, che decide di recarsi nella città in cui era nata e cresciuta sua madre Semele, figlia del fondatore Cadmo. Suo scopo era di affermare in quella stessa città – in cui lo si era negato – che sua madre lo aveva generato da Zeus, pretendendo conseguentemente un culto.
Il sospetto è che la trama possa essere letta a diversi livelli di profondità e che rappresenti una sorta di testamento spirituale e artistico del poeta, pieno di messaggi di validità universale di natura etica, religiosa e politica ancora in grado di raggiungerci.