Scrivere della polenta, dei dolci, biscotti e pane, confezionati con la farina di granoturco, vuol dire parlare della tradizione povera delle popolazioni contadine e montanare e della loro cucina rustica di sopravvivenza. Come abbiamo visto, presto il mais, dopo il suo arrivo nel XVI secolo dalle Americhe, soppianta i cereali minori fino a quel momento impiegati, da soli o in abbinamento con il frumento, per la preparazione di polente cotte, del pane e degli altri prodotti da forno e diventa un indiscusso protagonista. Nelle vicende della cucina povera di tutto il nord della penisola, affiora senza soluzione di continuità il ricordo delle antiche polentine molli, in una varietà infinita di elaborazioni. Termini come pult, polt, puta, puti, putiscia, putöö, comuni in quasi tutte le tradizioni culinarie della campagna padana, identificano appunto delle papette e farinate, più o meno consistenti, ottenute dalla cottura di farina in acqua o latte, con un’ombra di condimento. Prima delle grandi carestie del XVII secolo e della rapida propagazione della coltura del mais, si preparavano polente con farina di segale, farro, fraina, miglio, sorgo, orzo, riso e, naturalmente, frumento, per quanto questo cereale potesse essere disponibile. Dalla metà del ‘700, da noi in Piemonte, il mais sostituì quasi completamente (soprattutto nei territori di montagna) le colture cerealicole minori e la polenta gialla sostituì sia il pane sia buona parte del companatico, diventando molte volte piatto unico. La farina di mais comincia ad essere impiegata per la preparazione di pane e dolci, spesso in abbinamento con il frumento, seppure doveva rivelarsi poco adatta ad essere impiegata pura per confezionare il pane, ma discreta in abbinamento alla farina bianca.