Dalla metà del ‘700, in tutto il Nord della penisola, il mais sostituì quasi completamente (soprattutto nei territori di montagna) le colture cerealicole minori e la polenta gialla sostituì sia il pane sia buona parte del companatico, diventando molte volte piatto unico. La farina di mais comincia ad essere impiegata, oltre che per sostituire le antiche polente di cereali, per la preparazione di pane e dolci, spesso in abbinamento con il frumento.
Le gravi manifestazioni di pellagra nelle zone più povere, furono il prezzo dell’assunzione di una dieta incentrata sulla polenta. Se questa infatti si accompagnava sempre con cibi molto saporiti, molli o abbondantemente conditi che consentissero la pucia, è noto che il poco companatico e la pucia richiamavano grandi quantità di polenta. Nutriva poco, si diceva, ma riempiva lo stomaco e impediva di sentire i morsi della fame. Oggi che la fame endemica si è allontanata dal nostro orizzonte, possiamo apprezzare in pieno la fantasia e la perizia con cui questo semplice alimento (la polenta) è stato elaborato nel corso dei tre secoli passati. Esistono un’infinità di preparazioni in cui la farina di mais sotto forma di polenta costituisce la base a cui aggiungere diversi tipi di condimento quali olio,burro, formaggi e salumi di vario tipo, ma anche legumi e pesce fresco o conservato, elementi dolcificanti. Allo stesso modo, sul versante dei prodotti dolci, se ne contano numerosissime altre; biscotti, pinze, focacce, torte e pane dolce. Ogni regione ha elaborato le sue soluzioni a partire dai materiali che ritrovava sul territorio con i quali nei secoli precedenti aveva creato una propria cultura gastronomica in riferimento alla forneria. Dal XVII secolo, su quasi tutto il territorio nazionale, ma in particolare al Nord, queste diverse “strade del pane”, come potremmo definirle, si tingono di giallo; un piccolo sentiero all’inizio, una pista faticosamente ricavata sterpi e il fogliame nella fitta foresta, via via sempre più larga poi, con il passare dei secoli, fino ad arrivare ad un solenne viale della vittoria alla fine del XIX. Un lento declino fino alla II guerra mondiale e dopo di questa, con il boom economico degli anni sessanta e il nuovo benessere, quasi un crollo totale.
Le gravi manifestazioni di pellagra nelle zone più povere, furono il prezzo dell’assunzione di una dieta incentrata sulla polenta. Se questa infatti si accompagnava sempre con cibi molto saporiti, molli o abbondantemente conditi che consentissero la pucia, è noto che il poco companatico e la pucia richiamavano grandi quantità di polenta. Nutriva poco, si diceva, ma riempiva lo stomaco e impediva di sentire i morsi della fame. Oggi che la fame endemica si è allontanata dal nostro orizzonte, possiamo apprezzare in pieno la fantasia e la perizia con cui questo semplice alimento (la polenta) è stato elaborato nel corso dei tre secoli passati. Esistono un’infinità di preparazioni in cui la farina di mais sotto forma di polenta costituisce la base a cui aggiungere diversi tipi di condimento quali olio,burro, formaggi e salumi di vario tipo, ma anche legumi e pesce fresco o conservato, elementi dolcificanti. Allo stesso modo, sul versante dei prodotti dolci, se ne contano numerosissime altre; biscotti, pinze, focacce, torte e pane dolce. Ogni regione ha elaborato le sue soluzioni a partire dai materiali che ritrovava sul territorio con i quali nei secoli precedenti aveva creato una propria cultura gastronomica in riferimento alla forneria. Dal XVII secolo, su quasi tutto il territorio nazionale, ma in particolare al Nord, queste diverse “strade del pane”, come potremmo definirle, si tingono di giallo; un piccolo sentiero all’inizio, una pista faticosamente ricavata sterpi e il fogliame nella fitta foresta, via via sempre più larga poi, con il passare dei secoli, fino ad arrivare ad un solenne viale della vittoria alla fine del XIX. Un lento declino fino alla II guerra mondiale e dopo di questa, con il boom economico degli anni sessanta e il nuovo benessere, quasi un crollo totale.