Paradossalmente il pacifismo, per essere reale, deve armarsi fino ai denti, oppure passare attraverso una riforma del diritto: creare una sovranità sovranazionale che possa risolvere le controversie internazionali con un giudizio imparziale. Era questa la tesi che fu formulata dal Presidente americano Wilson, quando volle istituire la Società delle Nazioni; ed era questa la tesi di Einstein, quando scrisse a Freud la lettera la cui risposta fu pubblicata nel 1932, con il titolo Perché la guerra? Anche Freud, nella sua risposta, pur in una cornice assai più complessa, che cerca di individuare le ragioni analitiche (radicate in Al di là del principio del piacere, 1920) di quel Perché, dichiara di condividere la stessa utopia di Wilson e di Einstein, che ha il suo fondamento storico in quella, kantiana, della pace perpetua (e ancora prima nell'idea del federalismo universale che deriva direttamente dall'apocalittica cristiana). Il carteggio Freud-Einstein -al centro di questo opuscolo - ci dice che, così come l'ideale non può essere tenuto completamente fuori dall'azione politica, ugualmente non può esserlo dalla psicanalisi, che ha tenuto spesso troppo conto della realtà, e ben poco dell'utopia, vale a dire dell'idea alla quale la pratica analitica dovrebbe corrispondere. Quando non è così - quando lo psicanalista s'illude che la politica (oggi più che mai geopolitica) non lo riguardi e si riduce a un practitioner - ne consegue ciò che è ormai sotto gli occhi di tutti: la psicanalisi si conforma ipso facto al discorso del padrone, trasformandosi in una pratica terapeutica e medica.
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