Gli Esercizi di stile di Queneau e l'entusiasmo e la fantasia con cui Umberto Eco li ha tradotti in italiano mi hanno sempre fatto venire voglia di tentare un esperimento analogo con la traduzione. Per questo, dopo vent'anni di tentennamenti, ho scelto uno dei più brevi racconti di Čehov e – dopo averne dato una versione di base più possibile neutra – l'ho ritradotto una cinquantina di volte imponendomi ogni volta un diverso bias.
La distorsione cognitiva, o bias, non è una malattia. È il normalissimo filtro che tutti noi usiamo – consapevoli o, più spesso, no – quando percepiamo ed elaboriamo la realtà. Anche il traduttore è umano e di conseguenza applica i propri bias, oltre che nella sua vita privata, anche al prodotto della sua interpretazione e ricreazione.
La cosa, in genere, passa abbastanza sotto silenzio, sia perché siamo uno dei popoli più impermeabili alle radicali differenze esistenti tra mediare e comunicare – e spesso pensiamo che i traduttori siano matti sul modello di De André/Masters che hanno imparato il Treccani a memoria – sia perché forse si teme che se i lettori venissero a sapere che la traduzione che stanno leggendo è DIVERSA dall'originale, e che se fosse stata fatta da un'altra persone sarebbe DIVERSA in modo DIVERSO, lo shock sarebbe troppo forte per il loro debole cuore.
Del resto, per lo stesso motivo dobbiamo ancora sorbirci al cinema i film doppiati, arte nella quale noi italiani eccelliamo. Il fatto che vi eccelliamo non penso però sia una ragione sufficiente per continuare a praticarla, e si potrebbero fare svariati esempi analoghi per convincersene.
I cinquanta bias artificiali proposti qui non coincidono, verosimilmente, con nessuno degli autentici bias naturali davvero messi in atto da noi traduttori. Sono probabilmente delle esagerazioni – e c'è da augurarselo. Ma in ognuno c'è un pizzico di plausibilità riguardo a come le cose vanno veramente nella nostra testa mentre lavoriamo.
Quando ho proposto all'amico Federico Bario una collaborazione per accompagnare ognuna delle versioni con immagini artistiche liberamente ispirate al testo, Federico ha accettato con entusiasmo. I suoi prodotti che come vedrete intercalano le mie versioni sono realizzati con tecniche miste, dalla fotografia alla pittura, dall'acquerello all'uso di materiali di cancelleria, dai sassi ai fiori ai frutti. Anche nella serie delle immagini di Federico ci sono temi e motivi ricorrenti. Il pentagramma, per dirne uno, il frutto della passiflora caerulea, i sassi e il greto del lago di Lecco. Tutte le foto sono di Federico. Che a volte ha scritto sui sassi prima di fotografarli. Ci sono anche impietose riproduzioni tridimensionali degli autori.
Buona lettura.
La distorsione cognitiva, o bias, non è una malattia. È il normalissimo filtro che tutti noi usiamo – consapevoli o, più spesso, no – quando percepiamo ed elaboriamo la realtà. Anche il traduttore è umano e di conseguenza applica i propri bias, oltre che nella sua vita privata, anche al prodotto della sua interpretazione e ricreazione.
La cosa, in genere, passa abbastanza sotto silenzio, sia perché siamo uno dei popoli più impermeabili alle radicali differenze esistenti tra mediare e comunicare – e spesso pensiamo che i traduttori siano matti sul modello di De André/Masters che hanno imparato il Treccani a memoria – sia perché forse si teme che se i lettori venissero a sapere che la traduzione che stanno leggendo è DIVERSA dall'originale, e che se fosse stata fatta da un'altra persone sarebbe DIVERSA in modo DIVERSO, lo shock sarebbe troppo forte per il loro debole cuore.
Del resto, per lo stesso motivo dobbiamo ancora sorbirci al cinema i film doppiati, arte nella quale noi italiani eccelliamo. Il fatto che vi eccelliamo non penso però sia una ragione sufficiente per continuare a praticarla, e si potrebbero fare svariati esempi analoghi per convincersene.
I cinquanta bias artificiali proposti qui non coincidono, verosimilmente, con nessuno degli autentici bias naturali davvero messi in atto da noi traduttori. Sono probabilmente delle esagerazioni – e c'è da augurarselo. Ma in ognuno c'è un pizzico di plausibilità riguardo a come le cose vanno veramente nella nostra testa mentre lavoriamo.
Quando ho proposto all'amico Federico Bario una collaborazione per accompagnare ognuna delle versioni con immagini artistiche liberamente ispirate al testo, Federico ha accettato con entusiasmo. I suoi prodotti che come vedrete intercalano le mie versioni sono realizzati con tecniche miste, dalla fotografia alla pittura, dall'acquerello all'uso di materiali di cancelleria, dai sassi ai fiori ai frutti. Anche nella serie delle immagini di Federico ci sono temi e motivi ricorrenti. Il pentagramma, per dirne uno, il frutto della passiflora caerulea, i sassi e il greto del lago di Lecco. Tutte le foto sono di Federico. Che a volte ha scritto sui sassi prima di fotografarli. Ci sono anche impietose riproduzioni tridimensionali degli autori.
Buona lettura.