Non vi è settore dell’attività umana che possa fare a meno di punti di riferimento di tipo etico. Vi sono sempre valori ed interessi prioritari da proteggere in quasi ogni esplicitazione dell’agire umano. Nella società contemporanea il valore prioritario connesso alla comunicazione, e in senso lato anche di quella commerciale, è la salvaguardia della democrazia, intesa come formazione di processi decisionali atti ad esprimere un consenso basato su informazioni vere, corrette e pertinenti. La società attuale è complessa ed esprime informazioni complesse, sia sul piano quantitativo che qualitativo. Questa condizione determina vari problemi. Innanzitutto s’impone l’attendibilità delle informazioni, la veridicità della fonte delle stesse. Con il moltiplicarsi delle fonti d’informazione, con il connesso aumento della pluralità dei punti di vista, s’intensifica di pari grado il problema della verificabilità delle notizie diffuse. Questo aspetto viene peraltro amplificato in un sistema informativo con poche o nulle barriere all’accesso, vedi Internet, con il risultato che è relativamente facile immettere nel circuito una notizia e vederla rimbalzare da un medium ad un altro, o da un paese ad un altro, senza particolari controlli o verifiche. Da qui la necessità emergente di predisporre strumenti di varia natura, sia pubblici che autoregolati, atti a controllare fin dove possibile la qualità in senso ampio dell’informazione, e ciò al fine di garantire il pubblico. Connesso al primo aspetto, vi è l’oggettiva difficoltà nel dare un “senso” a questo fiume d’informazioni, nel senso che il fruitore del messaggio si trova a dover decodificare ed elaborare la massa delle informazioni che riceve con pochi strumenti di analisi e di verifica. La qualità dell’informazione risente fortemente della velocità con la quale la stessa viene diffusa. Ciò comporta il rischio di eccessive approssimazioni o addirittura di veri e propri travisamenti della realtà, anche in considerazione di una tendenza sempre più diffusa a “spettacolarizzare” le notizie, dando vita al cosiddetto infotainment, una mescolanza d’informazione e trattenimento. Altro aspetto della società dell’informazione è la tendenza a creare forme commiste di informazione e pubblicità. Anche in questo caso si ricorre ad un neologismo inglese infomercial. Quest’ultimo, nelle sue forme più esasperate, ha imposto alcun misure particolari di controllo, sia da parte del settore pubblicitario, che di quello giornalistico. Per ultimo ma non meno rilevante è il problema della correttezza dell’informazione commerciale, quella diretta a promuovere la vendita di beni o servizi. In questo caso, almeno nelle società a capitalismo avanzato, la posta in palio è il mantenimento delle migliori condizioni di equilibrio del mercato, quelle condizioni che consentono il corretto esercizio della libera concorrenza. Tale obiettivo non viene meno neanche quando vengono predisposti opportuni correttivi, al fine di scongiurare o correggere le possibili aberrazioni del capitalismo “selvaggio”, soprattutto in un’ottica di salvaguardia dei soggetti più svantaggiati. Fra le condizioni di equilibrio del mercato, vi è la predisposizione di strumenti di controllo sulla pubblicità commerciale, essendo uno dei principali e potenti strumenti di stimolazione e modificazione del mercato. In altre parole, la pubblicità commerciale corretta sta al mantenimento di un mercato sano e concorrenziale, così come la correttezza della comunicazione non commerciale sta al mantenimento della democrazia in una società civile. Ma la pubblicità non agisce solo sul piano economico. Essa agisce anche sul piano dei valori, del costume, delle credenze, alla stregua di un vero e proprio “regolatore culturale” in grado di influenzare, anche fortemente, lo sviluppo di una società. Insomma terreno fertile e obbligato di applicazione di principi etici e di norme deontologiche. Come vedremo. dall'introduzione dell'Autore