Qualcuno si ricorda di Mötley Crüe, Def Leppard e Judas Priest?
C’è stato un tempo in cui cotonarsi i capelli, truccarsi, fare sesso sfrenato con groupie e pornostar, sbronzarsi di Jack Daniel’s tenendo gli amplificatori a manetta era la cosa più “cool”, spregiudicata e anticonformista che il mercato discografico chiedesse di fare a una rockstar. Ma farlo sotto i riflettori del Sunset Strip a Los Angeles era una cosa, rifarsi all’immaginario di quella way of life a Fargo, nella sperduta provincia americana, un’altra.
Nella desolazione rurale del Midwest, un ragazzino sogna un’altra vita pur non sapendo bene quale, finché un fatidico giorno del 1983 suo fratello maggiore torna a casa con Shout at the Devil dei Crüe. Prima di farsi travolgere dall’età adulta, il ragazzo si scatenerà al ritmo liberatorio dei Guns N’ Roses, danzerà lenti pruriginosi sulle note dei Poison scoprendo il sesso, si invaghirà perdutamente di Lita Ford, dormirà beato sotto l’egida di un minaccioso pentacolo satanico e intavolerà ridicole conversazioni intellettuali su Slash e compagni, in una sarabanda comica e irresistibile che svela l’ingenuità ribelle ma verace di una generazione che ha trovato nel metal un’ancora di salvezza dalla mediocrità quotidiana.
Fargo Rock City non è soltanto un ironico memoriale di un’epoca chiassosa, kitsch ed effimera (con tanto di esilaranti e inediti retroscena). Ma anche una personalissima critica sociale e culturale di band, fan e album “impagabili”, che si erge a orgogliosa difesa e apologia della dignità artistica e del significato intrinseco di quel “glam rock effeminato, sessista e superficiale” in cui migliaia di adolescenti inquieti si sono riconosciuti.
C’è stato un tempo in cui cotonarsi i capelli, truccarsi, fare sesso sfrenato con groupie e pornostar, sbronzarsi di Jack Daniel’s tenendo gli amplificatori a manetta era la cosa più “cool”, spregiudicata e anticonformista che il mercato discografico chiedesse di fare a una rockstar. Ma farlo sotto i riflettori del Sunset Strip a Los Angeles era una cosa, rifarsi all’immaginario di quella way of life a Fargo, nella sperduta provincia americana, un’altra.
Nella desolazione rurale del Midwest, un ragazzino sogna un’altra vita pur non sapendo bene quale, finché un fatidico giorno del 1983 suo fratello maggiore torna a casa con Shout at the Devil dei Crüe. Prima di farsi travolgere dall’età adulta, il ragazzo si scatenerà al ritmo liberatorio dei Guns N’ Roses, danzerà lenti pruriginosi sulle note dei Poison scoprendo il sesso, si invaghirà perdutamente di Lita Ford, dormirà beato sotto l’egida di un minaccioso pentacolo satanico e intavolerà ridicole conversazioni intellettuali su Slash e compagni, in una sarabanda comica e irresistibile che svela l’ingenuità ribelle ma verace di una generazione che ha trovato nel metal un’ancora di salvezza dalla mediocrità quotidiana.
Fargo Rock City non è soltanto un ironico memoriale di un’epoca chiassosa, kitsch ed effimera (con tanto di esilaranti e inediti retroscena). Ma anche una personalissima critica sociale e culturale di band, fan e album “impagabili”, che si erge a orgogliosa difesa e apologia della dignità artistica e del significato intrinseco di quel “glam rock effeminato, sessista e superficiale” in cui migliaia di adolescenti inquieti si sono riconosciuti.