L'origine di questo libro risale a diversi anni fa quando il suo autore inizia a studiare l'opera di Vermeer per scrivere un breve testo narrativo ispirato a un suo quadro. È così che nota la presenza di varie figure di schiena e come queste siano diverse dalle quelle che si trovano in genere nella sua pittura.
Ma chi ha mai fatto caso veramente a figure del genere? Ce ne sono tante? Come sono veramente?
Che cosa fanno? Cosa significano? Se ne può delineare una classificazione? Corrispondono a tipologie precise? Queste rimangono costanti nel tempo o presentano variazioni significative nei modi e nelle gerarchie?
La loro ricerca ha dato luogo a scoperte, piccole illuminazioni, ma anche storie o fantasie che si sono trasformate con il tempo in riflessioni sulla figura dell’artista e sul suo modo di rappresentarsi, ma anche in avventure di scrittura e scoperte personali e appassionanti che il lettore proverà certamente a far proprie ed estendere nei suoi viaggi reali e tra le immagini.
Un viaggio che diventa una specie di racconto indiretto di sé, un modo di vedere il mondo e il proprio posto tra gli uomini e le cose.
“La figura di schiena preclude la vista per sempre: è il segno della tua cecità, ti indica che quello che più ti preme di vedere non lo vedrai mai, destinandoti al ritardo, alla non contemporaneità. Se la interpelli non risponde, e allora non ti resta che lanciarti in congetture su congetture, che però, essendo l’azione bloccata e mancandoti le inferenze deducibili dalla sua prosecuzione o dai suoi effetti, non sono verificabili, anche se non per questo sono arbitrarie, perché irraggiano non da ciò che vorresti vedere e che non vedi, ma da ciò che tu vorresti vedere pur non vedendolo, e che quindi in qualche modo già vedi. E forse solo così puoi vedere ciò che non potresti mai e tuttavia vorresti sempre vedere: l’invisibile. La figura di schiena allora, oltre che della cecità, è anche il segno dell’invisibile, l’indice della sua presenza, che, se ti è preclusa in quanto tale, almeno ti viene da lei indirettamente manifestata, e anzi, volendo esagerare, certificata: l’invisibile è appunto ciò che lei sta guardando".
Ma chi ha mai fatto caso veramente a figure del genere? Ce ne sono tante? Come sono veramente?
Che cosa fanno? Cosa significano? Se ne può delineare una classificazione? Corrispondono a tipologie precise? Queste rimangono costanti nel tempo o presentano variazioni significative nei modi e nelle gerarchie?
La loro ricerca ha dato luogo a scoperte, piccole illuminazioni, ma anche storie o fantasie che si sono trasformate con il tempo in riflessioni sulla figura dell’artista e sul suo modo di rappresentarsi, ma anche in avventure di scrittura e scoperte personali e appassionanti che il lettore proverà certamente a far proprie ed estendere nei suoi viaggi reali e tra le immagini.
Un viaggio che diventa una specie di racconto indiretto di sé, un modo di vedere il mondo e il proprio posto tra gli uomini e le cose.
“La figura di schiena preclude la vista per sempre: è il segno della tua cecità, ti indica che quello che più ti preme di vedere non lo vedrai mai, destinandoti al ritardo, alla non contemporaneità. Se la interpelli non risponde, e allora non ti resta che lanciarti in congetture su congetture, che però, essendo l’azione bloccata e mancandoti le inferenze deducibili dalla sua prosecuzione o dai suoi effetti, non sono verificabili, anche se non per questo sono arbitrarie, perché irraggiano non da ciò che vorresti vedere e che non vedi, ma da ciò che tu vorresti vedere pur non vedendolo, e che quindi in qualche modo già vedi. E forse solo così puoi vedere ciò che non potresti mai e tuttavia vorresti sempre vedere: l’invisibile. La figura di schiena allora, oltre che della cecità, è anche il segno dell’invisibile, l’indice della sua presenza, che, se ti è preclusa in quanto tale, almeno ti viene da lei indirettamente manifestata, e anzi, volendo esagerare, certificata: l’invisibile è appunto ciò che lei sta guardando".